Come un ponte prima del crollo, la Parmalat scricchiolò a lungo, poi fece intravedere delle crepe, infine cadde giù d'un botto, in pochi istanti catastrofici. Era il 17 dicembre 2003 e l'azienda di Collecchio non pagò un bond da 150 milioni di euro. Per rassicurare il mercato col fiato sospeso, l'azienda mostrò un estratto conto della Bank of America, sede delle Isole Cayman, in cui si certificava l'esistenza di un deposito con 3,95 miliardi di liquidità. Ma la banca negò l'esistenza di quel denaro e il documento si rivelò un falso clamoroso, fabbricato e impiastricciato di propria mano da Calisto Tanzi, titolare dell'azienda, e da quel Fausto Tonna, direttore finanziario, che, risucchiato nella vicenda giudiziaria, augurò ai giornalisti «morte lenta e dolorosa». Crollò tutto nel giro di pochi giorni, di poche ore. Un crac da 14 miliardi di euro, 38mila risparmiatori coinvolti, anzi truffati, visto che vennero acclarati reati, a cominciare dalla bancarotta fraudolenta.
Le ultime immagini di Tanzi lo ritraggono in tribunale, anni fa, col sondino al naso, l'aria sofferente, una magrezza da 48 chili. Chiese perdono «nel dolore e nel rimorso» per le sofferenze inflitte a tante famiglie, insistette sul ruolo colpevole assunto dalle banche, accettò le condanne in silenzio e poi passò i lunghi periodi in carcere e in ospedale recitando il rosario, pregando, leggendo testi sacri. Cattolico lo era sempre stato, e negli anni d'oro finanziò parrocchie e pagò i restauri in tante chiese. Fu condannato, dopo tre gradi di giudizio, a 8 anni e un mese per aggiotaggio e a 17 anni e 5 mesi per bancarotta fraudolenta. Gli fu confiscato tutto il possibile, ma non la casa dove scontò gli arresti domiciliari con una parziale libertà a ore fisse: quella bella villa col parco è intestata alla moglie, Anita Chiesi, azionista dell'omonima azienda farmaceutica. Insomma, Tanzi nonostante tutto non è morto povero, almeno in senso strettamente materiale.
Non era nato ricco. Giovane ragioniere di Collecchio, presso Parma, prese in mano la piccola azienda di alimentari e conserve fondata dal nonno Calisto. Dimostrò fiuto per gli affari e cavalcando lo sviluppo, negli anni Settanta e Ottanta, cercò nuovi orizzonti produttivi e nuovi mercati. I grandi incontri della sua vita furono due. Uno in Svezia, quando s'imbattè in una confezione di TetraPak e fu fulminato dall'idea che il futuro di un prodotto globale come il latte passava attraverso un packaging moderno e tecnologie alimentari che permettessero la lunga durata. Su questo fondò il suo impero industriale. L'altro incontro fu favorito da un nebbione. Ciriaco De Mita, uno dei democristiani più potenti di allora - ministro, presidente del Consiglio, segretario del partito - aveva perso il proprio volo e qualcuno suggerì a Tanzi di dargli un passaggio con il jet della Parmalat. Nacque un'amicizia proficua per entrambi, che s'incarna in tre «favori» spesi dall'industriale per il politico: aprì una fabbrica a Nusco, creando occupazione nel paese natale dei De Mita; sponsorizzò l'Avellino calcio e acquistò Odeon tv poi travolta dai debiti - cercando di farne un'emittente cattolica alternativa al polo Fininvest.
Quel che ottenne Tanzi da De Mita non si sa con precisione, e assume la parola generica ma ammaliante di protezione. La politica non fu estranea al credito che Parmalat ottenne sempre facilmente dalle banche. L'azienda si riempì di debiti per far fronte allo sviluppo e alle acquisizioni all'estero. Nei momenti d'oro aveva 36mila dipendenti, stabilimenti in 30 Paesi, dichiarava un fatturato equivalente in lire a 7,6 miliardi di euro. A un certo punto, era il 1990, gli scricchiolii suggerirono la via della Borsa, e fu presa una scorciatoia: anziché quotare Parmalat e sottostare alle regole richieste da Consob, la società acquistò una scatola vuota quotata la Finanziaria Centro Nord con la quale si fuse, entrando a Piazza Affari senza anticamere e senza troppi controlli. Il gruppo era formato da 500 società, quasi tutte in perdita, alcune dei pozzi senza fondo, come Parmatour, o il Parma Calcio.
Il grande paradosso delle vicende di Tanzi è che l'azienda e i prodotti, in termini industriali, andavano bene: ci furono momenti in cui nella sola New York si vendevano un milione di confezioni al giorno. Tant'è che Parmalat esiste ancora: dopo la cura del commissario Enrico Bondi fu risanata, riuscendo a restituire parte delle perdite ai risparmiatori truffati. Peccato che sia finita in mani francesi, nonostante gli appelli inascoltati di Bondi. Quello che non funzionò fu la finanza. A più livelli.
Già prima della quotazione i fornitori si lamentavano per i pagamenti in ritardo: un'avvisaglia. Il gruppo era cresciuto rapidamente e praticamente solo a debito. Poi, Tanzi dirottò fraudolentemente su società private, di famiglia, ingenti somme sottratte all'azienda, e non di tutto si trovò traccia. Inoltre ma questo in chiaro - la politica dei dividendi fu sempre generosa, poiché essi andavano innanzitutto nelle tasche dei membri della famiglia.
Poi c'è il capitolo banche. Quando un imprenditore cresciuto a debito diventa troppo debole, di fronte a chi gli fa roteare il cappio come minaccia deve cedere. Nacque così il sistema-Parmalat. Funzionava più o meno così: se la banca non riusciva a rientrare dei debiti da un'azienda, la faceva acquistare a Parmalat, finanziando quest'ultima con un bond; i soldi del bond servivano a pagare il debito con la banca, più una quota alla stessa Parmalat per il disturbo.
Il bond poi veniva messo sul mercato e venduto dalla stessa banca ai risparmiatori, naturalmente ignari, sui quali faceva effetto il nome di un marchio presente in tutto il mondo, che vedevano ogni giorno al supermercato, che sponsorizzava i più grandi campioni dello sci e della Formula 1. Crollò tutto con quel maldestro falso da 3,95 miliardi. Quel giorno per Tanzi, smascherato, cominciò la via dell'espiazione, almeno quella terrena. Sul perdono divino lui così cattolico nessuno può ipotizzare nulla.
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