Mosca ricatta sul grano: via libera? Stop a sanzioni

La Turchia fa da mediatore ma Kiev non si fida Lavrov: si può riaprire il negoziato per la tregua

Mosca ricatta sul grano: via libera? Stop a sanzioni

Nell'Ucraina in fiamme - con le bombe russe che insistono sulle città e col caldo che rischia di deteriorare irreparabilmente oltre 22 tonnellate di grano - è la diplomazia del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a muoversi nel sottobosco. E come al solito, pur guardando ai propri vantaggi regionali e di politica interna, qualcosa il sultano ha portato a casa anche ieri: accenni di un piano d'interesse globale. Una parziale intesa con Mosca, per sbloccare i porti ucraini sul Mar Nero, e far transitare le navi cargo cariche di cereali dallo Stretto dei Dardanelli e dal Bosforo; in un percorso diplomatico in cui Occidente e Ue si sono avvitati senza cavare un ragno dal buco.

Il vertice ieri ad Ankara tra il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e l'omologo turco Mevlut Cavusoglu ha però mostrato nuovamente la postura ondivaga di Mosca, a metà tra il bluff e l'apertura interessata, rilanciando la palla (e le responsabilità del mancato export) sul presidente ucraino: «Riguardo al grano, non c'è alcun ostacolo o problema causato dalla Federazione russa, Zelensky deve semplicemente dar istruzioni affinché i porti ucraini siano sicuri», la versione di Lavrov.

Se fosse davvero così semplice, non si vivrebbe da settimane in uno stallo: quello in cui Mosca ha gettato l'ancora finché l'Occidente non alleggerirà le sanzioni in campo agricolo: «In cambio del Sì alla proposta turca», chiarisce il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov. Richiesta «legittima e giustificata», per Ankara, specie sulle restrizioni bancarie. Mentre secondo Kiev il commercio dei cereali non dovrebbe essere «moneta di scambio».

Anche se Kiev desse via libera agli sminamenti (e a oggi l'Ucraina si rifiuta di svelare la mappa delle mine), resterebbe irrisolta la garanzia russa (che Zelensky vuole per iscritto) di non usare le acque ucraine in odore di bonifica per avvicinarsi e bombardare pure Odessa. «Non appena avremo autorizzato l'accesso al porto, la flotta di Mosca sarà lì», spiega Sergey Brachuk, portavoce dell'amministrazione regionale della Perla del Mar Nero. Lavrov, cogliendo spiragli di dialogo, e accettando di coordinarsi con Ankara, assicura: «Se bonificano, non attaccheremo, pronti a garantire sicurezza alle navi».

Il muro contro muro è superato? Forse. Ma Kiev non ci sta ad accettare le sole condizioni di Mosca, e chiede che nella trattativa sia inserito un altro dettaglio: i convogli ucraini devono essere scortati «dai paesi della Nato»; non dalla sola Turchia, che fa parte dell'Alleanza e ne vanta il secondo esercito. Odessa chiede pure missili anti-nave. Ma è già qualcosa che, pur su richiesta dell'Onu, la Turchia si sia offerta per scortare i primi cargo dai porti ucraini. E certo dalla mediazione Erdogan punta a ottenere un bello sconto sulle derrate, esibendo in patria un successo per un'economia al disastro.

L'Ucraina sarebbe «pronta» a sminare in un secondo momento le sue coste, e muoversi intanto per l'esportazione di grano, sostiene Cavusoglu. «Fino a poco tempo fa, Zelensky ha negato la volontà di bonificare le acque territoriali», ricorda Lavrov, cogliendo i passi in avanti. «Se ora, come ci dicono i nostri amici turchi, sono pronti a farlo o a fornire un passaggio sicuro, speriamo che il problema sia risolto».

Per il capo-diplomazia di Mosca, c'è pure «la possibilità di ripresa del negoziato per arrivare al cessate il fuoco». Çavusoglu spalanca le porte: «Turchia pronta a ospitare un incontro Putin-Zelensky», che resta però un miraggio. Perché se sulla ripresa delle trattative il ministro turco parla di «atmosfera molto più positiva», Lavrov frena sulla possibilità che i due presidenti si incontrino, respingendo l'idea ucraina di partenza, di tornare al pre 24 febbraio: «Inaccettabile».

Come certe domande rivolte ieri al ministro in conferenza stampa: «Quali beni rubati all'Ucraina, oltre al grano, sta vendendo la Russia sul mercato?», chiede un cronista di Kiev. Imbarazzo in sala. Lavrov glissa. E ridimensiona le «caratteristiche di catastrofe attribuite dagli occidentali» alla crisi alimentare: «Meno dell'1% della produzione mondiale di grano e di altri cereali è bloccata».

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