La guerra va avanti tra missili, bombe e stragi; la pace è lontanissima; le reciproche prove di forza, verbali e politiche, vanno avanti tra accuse, difese, posizioni al limite del ridicolo e tentativi di trovare nuovi alleati e amici in una nuova fase all'insegna di una stranissima loquacità.
L'onnipresente Sergej Lavrov, potentissimo ministro degli Esteri russo spiega senza fronzoli che «gli obiettivi geografici della operazione militare speciale della Russia in Ucraina sono cambiati, ora non si tratta più soltanto delle regioni di Luhansk e Donetsk», ampliando di fatto il raggio, e le prospettive di quella che lui si ostina a non chiamare guerra. Secondo Lavrov ora anche Kherson, Zaporizhzhia e una serie di altri territori in un «processo che continua, e continua in modo coerente e persistente», anche, manco a dirlo, per colpa dell'Occidente che sta aiutando Kiev con l'invio di armi. «Non possiamo permettere che la parte dell'Ucraina che controllerà Zelensky, o chi lo sostituirà, disponga di armi che rappresentino una minaccia diretta per il nostro territorio e il territorio di quelle repubbliche che hanno dichiarato la propria indipendenza», ha aggiunto. Pronta la replica di Kiev: «Le forze armate ucraine e l'artiglieria a lungo raggio insegneranno al signor Lavrov la geografia», ha detto via social Mikhailo Podolyak, consigliere del presidente Zelensky. Porte chiuse a chi spera nella ripresa di un percorso diplomatico che porti alla pace, con Lavrov che attacca: «Non ha alcun senso in questo momento perché Kiev non è per niente interessata a un dialogo serio».
Guerra avanti, drammaticamente quindi. Con Vladimir Putin che parla di «una nuova fase della storia mondiale nella quale cresceranno davvero solo gli stati veramente sovrani che possono garantire dinamiche di crescita elevate, diventare un esempio per gli altri negli standard e nella qualità della vita, nella protezione dei valori tradizionali e negli alti ideali umanistici, nei modelli di sviluppo in cui una persona diventa non un mezzo, ma l'obiettivo più alto», aggiungendo che «sia a livello nazionale sia globale si stanno sviluppando le basi e i principi di un ordine mondiale armonioso, più equo, socialmente orientato e sicuro, un'alternativa all'esistente». Un nuovo ordine sovranista composto da quelli che una volta venivano definiti «stati canaglia», ovvero quell'asse alternativo alla Nato che in questo momento storico è giocoforza incentrato su Mosca. Non è un caso infatti che dopo i vertici dei giorni scorsi con i leader di Turchia Erdogan e Iran Khamenei, Putin abbia in programma di intraprendere una serie di viaggi all'estero. Ancora non si sa dove ma è non è complicato redarre una lista di Paesi storicamente contro gli Stati Uniti e l'asse atlantico. Puntuale, ecco che la Siria, fedelissima alleata di Mosca, ha annunciato di aver interrotto le relazioni diplomatiche con l'Ucraina. Il segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin in una conferenza stampa al Pentagono, ha detto che «le armi inviate all'Ucraina stanno facendo la differenza e sono utilizzati in modo efficace dalle forze di Kiev», annunciando l'invio di altri quattro sistemi missilistici ad alta mobilità (HIMARS), «sconsigliando» all'Iran di aiutare Mosca. Mentre Volodymyr Zelensky, in un'intervista alla tv brasiliana, attacca il presidente Jair Bolsonaro: «Non è possibile rimanere neutrali quando c'è una guerra in corso, non posso condividere la neutralità del Brasile sul conflitto. Se qualcuno invade la tua terra, uccide la tua gente, violenta le tue donne, tortura i tuoi figli, come posso dire di essere neutrale?».
Di pari passo con il conflitto reale e quello politico, va avanti anche la battaglia sul grano. L'Ue ha approvato il nuovo pacchetto di sanzioni che prevede, tra l'altro, l'embargo al petrolio e alle esportazioni di oro dalla Russia, l'inserimento della Sberbank, la principale banca russa, nella blacklist europea, con la garanzia che la sesta tranche di sanzioni «non metta in pericolo la sicurezza alimentare ed energetica nel mondo». Deroga sul grano, dunque, insieme a prodotti agricoli, alimentari e fertilizzanti.
Se il presidente turco Erdogan auspica che in settimana possa essere firmato un accordo sui corridoi nel mar Nero per l'esportazione del grano dai porti dell'Ucraina, Mosca, per voce del solito Lavrov, ha chiesto ufficialmente al segretario generale dell'Onu un accordo che faciliti le esportazioni agricole dalla Russia, colpite dalle sanzioni occidentali, in cambio del passaggio del grano ucraino bloccato. Un'altra battaglia che va avnti, in un conflitto che non vede fine.
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