Biden? Massimo Cacciari sta seguendo in tv l'interminabile giornata americana. «È in vantaggio nel Wisconsin. Possiamo dire, forse, scampato pericolo».
E poi?
«E poi basta. Non c'è da stappare bottiglie o da festeggiare. Biden è una figura sbiadita del passato. Passato anche in senso buono, per carità, ma passato».
La sinistra italiana fa il tifo.
Risata: «Anch'io nel mio piccolo parteggio per lui. Basta avere le idee chiare. Meglio un passato decente anche se piatto rispetto a un futuro avventuroso, nelle mani di Trump».
Davvero non si aspetta niente da Biden?
«Sul piano culturale e politico nulla di nulla».
Professore, è così categorico?
«La sinistra italiana ed europea era già caduta a suo tempo nel trappolone dei Clinton, di Blair e Obama. C'era stata l'illusione che il verbo arrivasse da questi signori».
Risultato?
«La sinistra ha tradito, ha inseguito le politiche neoliberiste dei leader anglosassoni, ha perso per strada i ceti che rappresentava. I militanti, gli operai, gli strati più in difficoltà».
È cominciata così la diaspora dell'elettorato rosso?
«A Marghera dove io prendevo il 70% dei voti c'è stato un mutamento clamoroso. Gli operai del Vicentino o del Trevigiano hanno fatto ciao ciao ai partiti che prima li tutelavano. Bene, molto hanno giocato questi innamoramenti frettolosi: l'Ulivo mondiale, il papa straniero, tutta la sbandierata retorica obamiana».
Dobbiamo leggere in questa chiave anche l'avvento dei Cinque stelle?
«Certo. I 5 Stelle, come Podemos o Syriza di Tsipras in Grecia sono figli di questa metamorfosi, di questo smottamento e della conseguente incomprensione dell'elettorato. Il disorientamento si coagula nei movimenti di protesta».
Biden è insomma una pallida imitazione di chi l'ha preceduto?
«Quelle almeno erano figure di rottura, portavano suggestioni di cambiamento, con tutti gli squilli di tromba del caso, oggi Biden è solo il male minore. Strano destino il suo».
Perché?
«Ai tempi di Obama simboleggiava il polo moderato, necessario contrappeso all'Obama che poteva spaventare i benpensanti. Oggi è lui a rassicurare al confronto di Trump, ma ha bisogno di qualcosa di più frizzante, vivace e passionale alla sua sinistra».
La sua vice, Kamala Harris?
«Mi pare che sia lei la vera novità di queste elezioni. Qualcosa più di sinistra».
Per ora non si sa nemmeno con certezza se Biden ha vinto.
«È evidente che questa storia, la guerra del voto postale con tutti gli strascichi connessi, si trascinerà per giorni. Un brutto segnale di destabilizzazione che arriva dagli Stati Uniti. Speriamo non si scoprano intromissioni cinesi o russe».
È la crisi della democrazia americana?
«Mi pare proprio di sì. Assistiamo alle convulsioni di un Paese incapace di arrivare rapidamente a una sintesi».
Qualcuno ipotizza il rischio di una guerra civile.
«No, francamente mi pare troppo. Forse in altri tempi. Oggi direi di no o almeno lo spero. Però questa spaccatura profonda testimonia la fragilità di una società che per noi era un modello».
Trump ha tenuto. Come mai i sondaggi fanno cilecca?
«Questo discorso è parte di quello spaesamento che descrivevamo prima. L'elettorato è fluido, non ha più punti di riferimento, salta da una parte all'altra».
Negli Usa come in Italia?
«Siamo in una società sempre più liquida. Gli elettori seguono ora questo ora quel leader: Renzi, Grillo, Salvini, la Meloni».
Siamo in una giostra. Ma la sinistra?
«Non ho la vista così acuta da scorgere leader all'orizzonte».
D'accordo, ma i progressisti da dove possono ripartire?
«Certo, non rincorrendo Biden. Non si vedono ideali, strategie, suggerimenti interessanti. Però può anche essere che all'improvviso emergano figure nuove capaci di catalizzare l'opinione pubblica e di segnare una svolta.
Io seguo con interesse Kamala Harris che indubbiamente è qualcosa di inedito nel panorama politico degli Usa, dominato dalle grandi dinastie, dalle stesse famiglie, sia in casa democratica che fra i repubblicani. Magari, al prossimo giro lei sarà il primo presidente donna. E quella sarà una lezione per tutti noi».
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