Non solo gilet arancioni: dalla cultura agli asili c'è un'Italia che protesta

Si moltiplicano flash mob e manifestazioni pacifiche dei settori dimenticati dal governo

Non solo gilet arancioni: dalla cultura agli asili c'è un'Italia che protesta

Le grida di dolore del mondo dello spettacolo sono arrivate sabato in numerose piazze d'Italia, soffocate dalla teatralità dei gilet arancioni a Milano. Gli artisti piangono mentre è in sofferenza un altro settore fondamentale per la cultura: scuole paritarie e asili privati, spina dorsale del servizio ai bambini, si effondono in flash mob. La pandemia colpisce con l'enorme tragedia dei morti e dei malati, ma anche con posti di lavoro perduti e con l'arte in agonìa.

Sabato scorso le proteste dello spettacolo da Roma a Milano a Venezia a Bologna a Firenze a Napoli e Torino, per citare le principali città, perché le manifestazioni sono state oltre una decina. Gli aiuti del governo al settore, vitale in un Paese nutrito di cultura, non sono mancati ma non bastano. Il 15 giugno gli spettacoli ripartiranno ma non tutti. Le inevitabili distanze riducono ulteriormente il numero di biglietti staccati e cioè le risorse per chi faticava a far quadrare i conti.

A Venezia la protesta ha coinvolto lavoratori della Fenice, a Milano si sono visti coristi e musicisti della Scala. Come ricostruito dall'Ansa, hanno manifestato attori, lirici, ballerini, comici, coreografi, cantanti, deejay, doppiatori, sceneggiatori e registi, sarti e truccatori, orchestrali, acrobati, stunt-man, giocolieri e trampolieri. A Bologna è intervenuto l'attore Alessandro Bergonzoni: «Devono ripartire le compagnie. Non creiamo le distanze tra chi lavora e chi deve dare dei fondi. Prima di tutto la salute, poi però c'è la cultura, c'è lo spettacolo, che fanno parte dell'istruzione e non si possono dimenticare».

È soprattutto lo spettacolo dal vivo, teatri e concerti, a soffrire, ma difficoltà gravi serpeggiano nel cinema. A fare il punto la «Rivista del Cinematografo» che racconta «set chiusi, festival saltati, film mai visti, sale sbarrate, professionisti senza impiego». Spiega il produttore Fulvio Lucisano: «Stiamo studiando le alternative provvisorie alla sala cinematografica, come le arene all'aperto o i drive-in». Aggiunge che «la maggior parte dei film italiani vengono girati in estate, quindi il tema dei set interrotti appartiene alle serie».

Dal palcoscenico oltre tremila firme per la petizione «Il teatro privato non può riaprire», lavoratori sconosciuti ma anche volti noti come Cristina Comencini, Ferzan Ozpetek, Maurizio De Giovanni, Maurizio Costanzo, Carlo Conti, Glauco Mauri, Stefano Accorsi, Ale & Franz, Raoul Bova, Nancy Brilly, Sergio Castellitto, Pierfrancesco Favino, Sabrina Ferilli, Beppe Fiorello, Anna Foglietta, Claudia Gerini, Massimo Ghini, Corrado Guzzanti, Alessandro Haber, Luigi Lo Cascio, Claudia Pandolfi e Alessandro Preziosi. Tra le richieste «un ristoro per le imprese del comparto», il prolungamento della cassa integrazione e la sospensione di tributi.

Il Movimento per la Musica scrive al responsabile dei Beni culturali Dario Franceschini: «Ministro, ci riceva! La musica chiede un suo intervento». Tra i sostenitori Pippo Baudo, Al Bano e Vittorio Sgarbi. Nella lettera aperta si lancia un grave allarme: «I tempi della ripresa della musica sono quanto mai incerti, sicché il nostro mondo è al collasso.

Migliaia di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo sembrano essere invisibili e senza alcun tipo di tutela e sostegno economico. Occorre riconoscere che, senza gli artisti, l'universo perde il suo motore creativo e la sua poesia».

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