C'è una ricetta contro la paura della firma, che affligge sindaci e amministratori e, a dirla con la premier Giorgia Meloni, «inchioda la nazione». Abolire, o almeno contenere, l'abuso d'ufficio. Reato indeterminato, dicono tutti, e per i suoi detrattori divenuto «grimaldello delle procure», alle quali indagando sulla pubblica amministrazione, se cadono corruzione e concussione, resta sempre il jolly dell'articolo 323 del codice penale. L'effetto di questa distorsione, come sottolinea Meloni e come confermano i sindaci, è che nel 93 per cento dei casi le accuse di abuso d'ufficio contro i primi cittadini svaniscono nel nulla alla prova dei fatti. «Si tratta di un reato dai contorni troppo indeterminati», aveva spiegato l'ex ministro ed ex giudice della Consulta Sabino Cassese in un'intervista al Messaggero un anno e mezzo fa. «La sua interpretazione si presta ad abusi, in particolare ad ampliamenti eccessivi. Va quindi soppresso e sostituito con fattispecie ben determinate», aveva concluso il giurista. E persino l'ex presidente della camera Luciano Violante, come ha ricordato il presidente dei penalisti Gian Domenico Caiazza, aveva definito quella norma «una sorta di mandato a cercare eventuali irregolarità o illiceità nella amministrazione pubblica». Anche Draghi aveva ricordato le responsabilità «sproporzionate» che incombono su sindaci, amministratori e pubblici dirigenti. Ma il reato è sempre lì.
Ora ci riprovano Giorgia Meloni, il Guardasigilli Carlo Nordio e il vice di via Arenula Francesco Paolo Sisto, che hanno ribadito tutti l'esigenza di ritoccare l'abuso d'ufficio. Stavolta il fronte è compatto, il consenso è largo e sembra che l'esecutivo voglia eliminare quello che rischia di diventare un pericoloso bastone tra le ruote del Pnrr. L'altro giorno, all'assemblea dell'Anci, lo ha detto chiaramente a una platea molto interessata a quel tema, tanto da fare, un anno fa, un appello a Draghi per liberarli da quel reato trappola: «La paura della firma ha detto Meloni - inchioda una nazione che invece ha bisogno disperato di correre e liberare le sue energie. E i sindaci devono avere certezze sul perimetro di ciò che è lecito e di ciò che è illecito». Sisto ai sindaci ha ribadito l'urgenza di correttivi, a cominciare dalla Severino che costringe alle dimissioni anche chi è condannato in primo grado per questo reato trappola. Ministro e viceministro valutano come intervenire. Tra le ipotesi, una depenalizzazione dell'abuso se a vantaggio di un soggetto, mentre resterebbe perseguibile l'abuso d'ufficio se danneggia un soggetto determinato o nega illegittimamente il rilascio di permessi o autorizzazioni a chi ne ha diritto. Mercoledì Nordio e Sisto incontreranno i sindaci per fare il punto.
Ma dal presidente Anci De Caro a Nardella e a Manfredi, i primi cittadini di tutt'Italia e di tutti i partiti, in questa battaglia, sono dalla stessa parte del governo. Troppi i precedenti eclatanti. Tra gli ultimi quelli dell'ex sindaco leghista di Novara, Massimo Giordano, e di Claudio Corradino, primo cittadino di Biella, sempre del Carroccio. Il primo è stato assolto una decina di giorni fa dopo dieci anni di odissea giudiziaria, partita perché avrebbe chiuso un occhio ma appunto è stato assolto -per gli schiamazzi di un bar.
Il secondo a giugno s'è visto assolvere con formula piena dall'accusa di aver infilato un'amica in un cda, ma oltre a rischiare il posto (per la Severino), ha ricordato di aver speso, in avvocati, 37mila euro. Bruciati per difendersi da un reato trappola e da un'accusa infondata.
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