Nordio tiene duro coi pm, il premier prova a mediare

Meloni vuole tentare di ricucire lo strappo fra ministro e l'Anm, ma la riforma non si tocca

Nordio tiene duro coi pm, il premier prova a mediare
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«Tutti indispensabili, nessuno inutile». Tra gli addetti ai lavori le presunte critiche di Giorgia Meloni al Guardasigilli Carlo Nordio vengono ridimensionate. «È un gioco delle parti: Nordio fa il poliziotto cattivo, la Meloni quello buono». La riforma della giustizia è troppo importante per farla saltare, «Nordio è la persona giusta, nel mirino delle toghe rosse da quando era in magistratura, il premier lo sa e l'ha scelto per questo motivo», dice al Giornale una fonta vicina a Via Arenula. «Da giorni magistrati vari contestano il ministro, nel silenzio di Palazzo Chigi. Occhio che se Nordio si scoccia vi saluta», twitta malignamente Enrico Costa, deputato di Azione-Italia Viva. Anche se Palazzo Chigi è ben conscio che gli attriti tra Guardasigilli e Anm - funzionali a entrambi, peraltro - non aiutano a rasserenare il clima tra magistratura e classe politica, il solco è tracciato. Non siamo (ancora?) al muro contro muro di berlusconiana memoria. Perché questo esecutivo in materia di giustizia «non è ricattabile», per usare le parole di Alfredo Mantovano (e prima ancora della stessa premier), «pondera e sceglie senza condizionamenti» e senza farsi dettare la riforma «dalle correnti della magistratura associata». Modifiche in Parlamento ce ne saranno, come è logico, i partiti faranno a gara a intestarsene i meriti come le toghe, tutt'altro che unite. Lo stesso Giuseppe Santalucia è stato sostanzialmente sbugiardato da Md e Unicost prima ancora che dai suoi sullo sciopero e sull'inappellabilità, né Pd e M5s sembrano pronte a buttarsi nel fuoco per salvare i pasdaran della magistratura, la cui reputazione è sotto terra dopo le recenti vicende giudiziarie (dalle chat di Luca Palamara al pasticciaccio Amara-Storari-Davigo).

«Le correnti hanno un valore ideale e rappresentano sensibilità diverse», ricorda il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli intervenendo a Taobuk a Taormina. Se questo approccio è «legittimo», non lo è «la degenerazione del correntismo», da cui stare lontano. È Pinelli a bacchettare indirettamente l'Anm («Non possiamo parlare di qualcosa che ancora non è norma, il disegno di legge non è ancora depositato») e a ricordare che la deriva forcaiola che ha condizionato la politica negli ultimi trent'anni è anche figlia delle intercettazioni a strascico finite sui giornali e delle condanne anticipate a mezzo stampa.

In passato le toghe moderate erano minoritarie nel dibattito pubblico, oggi Magistratura indipendente rappresenta la maggioranza tra le toghe e al Csm. Certe istanze da «tribunale del popolo» potevano trovare presa in un'opinione pubblica forcaiola e protogrillina cresciuta a pane e brogliacci manipolati, assetata di colpevoli e avvisi di garanzia, condizionata dalle verbalate copia-incolla finite sui giornali - tanto che Domani, Fatto e Repubblica sono a lutto - oggi il giochino dei quotidiani caselle postali dei pm si è pienamente rivelato.

Ne sa qualcosa Paolo Mieli, che ancora ieri ha ricordato la stranezza dell'avviso di garanzia a Silvio Berlusconi del 1994, che aprì lo scontro tra toghe e centrodestra: «La Procura di Milano cercò di far pensare che la notizia ce l'aveva data lo stesso Berlusconi o qualcuno del suo entourage», invece la tempistica sospetta fa ritenere all'allora direttore del Corriere della Sera di essere stato strumento

inconsapevole dei pm. Quell'avviso di garanzia era la notizia vera, o lo era il fatto che il Corriere fu «scelto» per fischiare l'inizio della Guerra del Trent'anni? Da Westfalia a Via Arenula non c'è pace senza risposte.

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