Sì all'invio di ulteriori aiuti militari a Kiev, ma avendo comunque come obiettivo principale un cessate il fuoco che possa favorire i negoziati per una pace tra Russia e Ucraina. È seguendo questo doppio binario che oggi a Washington - alle 14 ora locale, le 20 in Italia - Mario Draghi sarà ospite di Joe Biden. È il terzo incontro tra i due da quando l'ex Bce è arrivato a Palazzo Chigi, ormai 15 mesi fa. Ma è la prima volta che Draghi presidente del Consiglio viene ricevuto alla Casa Bianca, una trasferta che quasi sempre rappresenta uno dei primi viaggi per un premier appena insediato.
Sul tavolo, ovviamente, il grande tema è come relazionarsi con Mosca nel tentativo di aprire davvero un canale di dialogo con Vladimir Putin. Draghi è intenzionato a fare il pontiere. Il che significa appoggiare la linea della Casa Bianca, decisa - come Londra - a insistere sull'invio di materiale bellico e sulle sanzioni, ma anche provare a spingere per una nuova iniziativa diplomatica che venga rilanciata proprio dall'Europa. Un approccio che trova l'Italia in sintonia con i suoi partner europei, a partire dalla Francia di Emmanuel Macron. Proprio ieri, infatti, il presidente francese ha sì definito «inqualificabili» i «crimini» commessi dalla Russia in Ucraina, ma ci ha tenuto a ribadire che la pace non si costruisce «né con l'esclusione reciproca, né con l'umiliazione».
Certo, il faccia a faccia alla Casa Bianca non potrà non partire da quello che Biden considera il principio cardine della strategia americana, tanto che proprio ieri il presidente statunitense ha firmato l'Ukraine Democracy Defense Lend-Lease Act, una legge per velocizzare la fornitura di armi a Kiev sulla falsa riga di quella che nel 1941 permise agli Stati Uniti di armare l'esercito britannico contro Adolf Hitler. D'altra parte, sul tema Biden è stato chiaro anche nel G7 che si è tenuto domenica in videoconferenza. Inevitabile, insomma, che sia oggetto di confronto con Draghi. Non tanto per chiedere rassicurazioni sulla tenuta della maggioranza, visto che a Washington non sembrano troppo preoccupati dai ripetuti distinguo di Giuseppe Conte. Ieri, peraltro, anche Matteo Salvini ci ha tenuto a far sapere di aver chiesto a Draghi di «portare negli Stati Uniti la voglia di pace» perché «non saranno altre armi a fermare la guerra». Nonostante le differenziazioni di alcuni partiti, però, la convinzione è che Draghi sarà in grado di gestire eventuali smottamenti nella maggioranza, anche perché sulla questione c'è una piena condivisione tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Piuttosto, invece, Biden potrebbe chiedere all'ex numero uno della Bce un contributo maggiore proprio nella quantità e qualità degli armamenti da mandare. Tema evidentemente spinoso e che rischierebbe di accendere polemiche tra i partiti che sostengono la maggioranza.
Draghi, però, insisterà anche sulla necessità di investire impegno e risorse economiche sul fronte diplomatico, dando priorità all'apertura di un tavolo negoziale tra Mosca e Kiev. Un obiettivo che per l'Europa deve essere prioritario. Proprio ieri, alla vigilia del suo viaggio a Washington, il premier ha ricordato il Manifesto di Ventotene (scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 per promuovere l'unità europea). «Di fronte all'invasione russa dell'Ucraina - ha detto - i valori contenuti in quel Manifesto sono più attuali che mai». Per cambiare l'Europa, ha aggiunto l'ex numero uno della Bce, servono «idealismo» e «pragmatismo». Lo stesso pragmatismo che lo porta a insistere nella ricerca della pace con la consapevolezza che finora Putin non ha mai voluto davvero il dialogo.
Per questo l'Italia non si tirerà indietro né rispetto all'invio di armi, né rispetto all'inasprimento delle sanzioni, con il sesto pacchetto che include anche l'embargo del petrolio russo e che potrebbe essere approvato da Bruxelles già domani.
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