Sono 187 i nuovi contagi segnalati ieri, con un lieve aumento rispetto a martedì, quando i casi erano aumentati di 142 unità. La regione più colpita è come sempre la Lombardia, con 109 nuovi casi, dei quali 22 a Bergamo e Mantova, 21 a Milano (10 dei quali nel capoluogo) e 18 a Brescia. appaiate al secondo posto in Italia Piemonte ed Emilia-Romagna con 16 casi, poi undici regioni con una manciata di casi e sette a quota zero (Puglia, Umbria, Sardegna, Valle d'Aosta, Calabria, Molise e Basilicata).
Elevato ieri il numero dei tamponi rispetto alla media degli ultimi giorni: 55.366, che portano l'indice di contagi rispetto ai test refertati allo 0,34 per cento. Come sempre ci sono due «Italie». La Lombardia, con 109 casi e 8.427 tamponi, ha un indice dell'1,29, mentre il resto dell'Italia, con 78 casi e 46.939, ha un indiece quasi dieci volte inferiore pari allo 0,16.
Dei 15.255 attualmente positivi 9.938 sono in Lombardia, che scende quindi sotto quota 10mila. I ricoverati in terapia intensiva sono 87, sei in meno rispetto al giorno precedente, 1.025 quelli che sono in ospedale ma in altri reparti e 14.143 si trovano invece in isolamento domiciliare. Capitolo morti: ieri sono stati 21 nuovi decessi, dei quali sei in Lombardia.
Numeri positivi, che inducono all'ottimismo anche il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri, che su facebook scrive: «L'Italia deve ripartire e non bisogna creare un clima di terrore rispetto a una nuova ondata di emergenza sanitaria da coronavirus». Ma che soprattutto spingono il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus, da Ginevra, a fare i complimenti all'Italia (e alla Spagna), Paesi che «a marzo erano l'epicentro della pandemia di Covid-19» ma che «hanno riportato la situazione sotto controllo con una combinazione di leadership, umiltà, partecipazione attiva di ogni membro della società e un approccio globale. Entrambi i paesi hanno affrontato una situazione scoraggiante, ma l'hanno capovolta».
«Una delle lezioni di questa pandemia - prosegue Ghebreyesus - è che, indipendentemente dalla situazione in cui si trova un paese, può essere cambiata. Non è mai troppo tardi. Tuttavia siamo preoccupati per il fatto che alcuni Paesi non abbiano utilizzato tutti gli strumenti a loro disposizione, adottando invece un approccio frammentato».
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