Mosca cerca Pechino e la Cina si conferma il gigante a cui guardano Occidente e Russia, in attesa di capire se Xi Jinping userà il suo peso per far vincere la guerra a Putin oppure per spegnere il conflitto, sempre che il presidente cinese non decida di imboccare entrambe le strade: aiutando Mosca come può, anche sottobanco, mentre gioca alla mediazione sulla guerra.
Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov sarà a Pechino giovedì prossimo, per la terza conferenza ministeriale dei Paesi vicini dell'Afghanistan il 31 marzo. Non è una visita casuale mentre la guerra è in corso, ma non procede come i russi speravano, con i negoziati che continuano in videoconferenza, senza alcun esito di rilievo, e Lavrov che accusa la Nato di «voler continuare le ostilità», fornendo supporto all'Ucraina.
La Cina nega ancora di essere stata avvertita dell'attacco da Mosca e definisce «sinistre e spregevoli» le notizie dagli Stati Uniti, secondo cui Pechino potrebbe fornire materiale bellico a Mosca. Eppure è il sostegno politico e militare cinese a Putin che l'Occidente teme. Nella videotelefonata della scorsa settimana con Xi Jinping, Joe Biden ha avvertito che ci saranno «conseguenze» se Pechino fornirà supporto alla Russia. Le relazioni sarebbero «a rischio», ha ripetuto ieri. E la Nato ha ribadito il concetto, chiedendo alla Cina di «unirsi al mondo nel condannare in modo chiaro l'invasione» e replicando l'avviso ad astenersi «dal fornire sostegno politico o materiale all'aggressione», incluso l'aiuto ad aggirare le sanzioni. Pechino «dovrebbe usare la sua significativa influenza sulla Russia e promuovere una soluzione pacifica immediata», ha esortato Stoltenberg.
La difficile avanzata di Mosca in Ucraina e il peso delle sanzioni spingono Vladimir Putin sempre più fra le braccia di Xi Jinping. Il leader cinese è preoccupato per gli scossoni economici e finanziari della guerra. «La Cina sta assistendo a un deflusso di capitali senza precedenti» da quando la Russia ha invaso l'Ucraina, spiega l'Istituto della Finanza internazionale di Washington. Ma Pechino ma non sembra per nulla intenzionata a schierarsi apertamente contro Mosca. Lo si è visto bene ieri nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dove la Cina è stata l'unica nazione a votare con la Russia, a favore della mozione per l'accesso umanitario in Ucraina, proposta da Mosca e che non menzionava il ruolo della Russia nella crisi. Bocciata con 13 astenuti e 2 soli favorevoli: Russia e Cina. È passata invece, stavolta con l'astensione di Pechino, la risoluzione proposta dagli occidentali che chiede «l'immediata cessazione delle ostilità da parte della Russia, in particolare di eventuali attacchi contro civili», l'accesso umanitario e la protezione di civili, personale medico, giornalisti e operatori umanitari. In tutto 140 i Paesi che hanno votato a favore, 5 i contrari (Russia, Bielorussia, Siria, Eritrea e Nord Corea, gli stessi che votarono il 2 marzo contro la condanna dell'invasione russa all'Onu) e 38 gli astenuti, tra cui, ieri come oggi, la Cina che cerca la strada dell'equidistanza tattica, ma finisce per essere incapace di dire una parola chiara sulla guerra.
A spiegare la scelta di Pechino, coerente con lo stile del Politburo, è stato l'ambasciatore cinese all'Onu, Zhang Jun, con una lezione all'Occidente: «I Paesi importanti non devono adottare un approccio semplicistico di amico o nemico, bianco o nero e non devono costringere nessun Paese a scegliere una parte». Pechino vuole tenersi fuori, almeno ufficialmente.
E ne fa una questione politica ed economica: «I Paesi in via di sviluppo, maggioranza nel mondo, non sono parti nel conflitto e non devono essere trascinati e costretti a soffrire le conseguenze del conflitto geopolitico e delle rivalità delle potenze maggiori».
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