"Ora basta gogna" Di Maio spiazza il mondo 5 Stelle con il mea culpa sul sindaco assolto

Una resa? Nella lettera al Foglio, dopo l'assoluzione dell'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, Luigi di Maio conclude la lunga marcia per l'espiazione del peccato originale del giustizialismo.

"Ora basta gogna" Di Maio spiazza il mondo 5 Stelle con il mea culpa sul sindaco assolto

Una resa? Nella lettera al Foglio, dopo l'assoluzione dell'ex sindaco di Lodi, Simone Uggetti, Luigi di Maio conclude la lunga marcia per l'espiazione del peccato originale del giustizialismo. L'ex primo cittadino di Lodi fu vittima nel 2016 di una violentissima campagna stampa da parte dei grillini. Le scuse pubbliche di Di Maio liquidano le ultime scorie della stagione forcaiola di una forza politica (il M5S), entrata definitivamente nell'establishment, e rinnegano la linea Travaglio. Scuse accettate. «Le parole di Di Maio mi hanno fatto sicuramente piacere. Spero e credo che siano sincere e voglio auspicare che facciano parte di un percorso e di un processo di maturazione dei Cinque stelle», commenta Uggetti che ora attende un gesto simile da Matteo Salvini. «I Cinque stelle hanno capito che la gestione della cosa pubblica nelle amministrazioni purtroppo espone i sindaci e gli amministratori a una quantità di rischi non correlata e proporzionata a una dimensione di equilibrio», rincara l'ex sindaco che ora punta alle suppletive nel collegio di Siena.

In fondo, l'abito dell'incendiario di piazza è andato sempre stretto a Di Maio. Costretto, però, a indossarlo un po' per convenienza elettorale, un po' per i suggerimenti del Rocco Casalino. E soprattutto per non deludere le aspettative dei vari Scanzi. Ora che non c'è più un patrimonio elettorale da salvare (il M5s è ai minimi storici) e con l'ex gieffino regalato a Conte, Di Maio può finalmente indossare l'abito che più gli calza. Quello del moderato pacificatore. Il processo di redenzione è stato lungo. Ma irreversibile.

L'ultimo atto del Di Maio agitatore andò in scena la sera del 27 settembre 2018 con l'esultanza dal balcone di Palazzo Chigi per l'approvazione (con il primo governo Conte) del deficit al 2,4% per la manovra. Poi sono arrivati i guai di famiglia, lavoratori in nero nell'azienda di papà Antonio e le case abusive, che hanno accelerato il processo di conversione. Ma soprattutto Di Maio ha fatto i conti con la dura legge del governo. Guidare una città comporta anche il rischio di incappare un'indagine. Firmare un atto espone un sindaco a avviso di garanzia. Di Maio l'ha finalmente compreso. Tardi. Ma l'ha compreso. Ha visto i sindaci del Movimento, Chiara Appendino (Torino), Virginia Raggi (Roma), Filippo Nogarin (ex sindaco di Livorno) restare imbrigliati nelle inchieste. E poi uscirne assolti. Con la lettera al Foglio si certifica la rottura, stavolta anche ideologica e morale, con il vecchio M5S. Quello degli inquisitori Di Battista e Morra. È il punto di svolta. Un traguardo raggiunto a suon di scuse e retromarce.

Un mea culpa era arrivato sulla richiesta di impeachment per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Erano i giorni concitati della nascita dell'esecutivo gialloverde. Dal Quirinale arrivava il veto su Paolo Savona per il ruolo di ministro dell'Economia. La prima trattativa tra Lega e M5s per condurre Giuseppe Conte a Palazzo Chigi falliva. E Di Maio, spinto da Rocco Casalino, invocava la messa in stato di accusa per il Capo dello Stato. Un autogol clamoroso di cui Di Maio si pentirà qualche anno dopo incalzato dalle domande di Myrta Merlino: «Nella vita delle persone da grandi errori nascono grandi opportunità. Se si sbaglia si chiede scusa e si va avanti». Visita in Francia (con il rivoluzionario Dibba) dai facinorosi gilet gialli. Altro autogol.

Altre scuse pubbliche: «Non li incontrerei più». C'è un altro sindaco che attende le scuse di Di Maio: Federico Pizzarotti, primo cittadino di Parma cacciato per un avviso di garanzia. Non è mai troppo tardi. Avanti Luigi.

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