Per una volta nella sua vita Giorgio Napolitano si è comportato da ingenuo. Nel consentire, in nome del rispetto della magistratura, che i giudici di Palermo salissero al Quirinale per interrogarlo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, non si è reso conto di aver spianato una strada che ben presto potrebbe essere percorsa da altri giudici per accertare altre ed altrettanto gravi vicende. Il precedente determinato da Napolitano può essere legittimamente utilizzato dai magistrati di Trani che dovranno processare gli analisti di Standard & Poor's e di Fitch rinviati a giudizio per avere innescato nel 2011, con i loro giudizi ingiustificati e volutamente forzati sui provvedimenti di risanamento dell'allora governo Berlusconi, lo scoppio della speculazione finanziaria ai danni del nostro paese.
Così come i magistrati palermitani hanno chiesto al capo dello Stato se abbia mai avuto sentore della trattativa tra pezzi delle istituzioni e boss di Cosa nostra, i magistrati di Trani potrebbero interpellare il presidente della Repubblica se sia mai stato a conoscenza di quanto i giudizi artificiosi delle agenzie di rating abbiano potuto influenzare le istituzioni europee e le cancellerie degli altri paesi e spingerle a riservare all'Italia lo stesso trattamento adottato in precedenza per la Grecia. I magistrati di Trani non potrebbero essere i soli a chiedere lumi al capo dello Stato delle vicende tumultuose di quel 2011 in cui lo stesso Napolitano si vide costretto a nominare in fretta e furia Mario Monti senatore a vita per poi immediatamente investirlo della carica di presidente del Consiglio del governo tecnico con cui venne sostituito il governo legittimato dal voto degli italiani ma liquidato dall'ostilità di alcuni poteri europei. Il rinvio a giudizio degli analisti a Trani potrebbe accelerare le indagini innescate a Roma dall'esposto-denuncia del Tribunale Dreyfus sul cosiddetto «complotto».
E i magistrati che indagano su quella oscura pagina della storia del Paese da cui sono scaturite alcune delle conseguenze più pesanti della crisi ancora in corso, non potrebbero fare a meno di appellarsi al precedente del processo sulla trattativa Stato-mafia per chiedere al capo dello Stato di contribuire, nella sua qualità di protagonista, a fare definitiva chiarezza su quella incredibile vicenda nazionale. Nessuno, naturalmente, può prevedere se i magistrati di Trani e quelli di Roma decideranno di salire al Colle percorrendo la strada aperta dai colleghi di Palermo. Ma è fin troppo evidente che il rinvio a giudizio di Trani non può non alimentare l'inchiesta di Roma e attribuire alla vicenda del «presunto complotto» lo stesso grado di interesse per il paese della vicenda della «presunta trattativa».
Fare chiarezza su come la mafia sia stata combattuta dalle istituzioni è importante tanto e quanto sapere come le istituzioni abbiano fronteggiato la speculazione finanziaria internazionale e le ingerenze straniere sui governi che hanno avuto il compito di fronteggiare la crisi. Perché «emergenza mafia» ed «emergenza crisi» non sono affatto scomparse. E se per meglio fronteggiare la prima è bene sapere chi e come abbia avuto contatti di quale natura con i boss mafiosi, è altrettanto importante, per meglio combattere la seconda, accertare chi e come si sia piegato troppo passivamente alla speculazione internazionale o, peggio, invece di perseguire gli interessi nazionali abbia curato gli interessi dei poteri internazionali.
Il problema non è rivangare e rimestare il passato ma evitare che nuovi errori vengano compiuti nel presente e nel futuro. Napolitano può avere ceduto per un momento all'ingenuità ma è troppo esperto per non capire che quell'ingenuità è destinata ad avere un seguito ineluttabile.
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