"Ore di ansia, ma l'Italia fa la sua parte. La via d'uscita è politica, non militare"

Parla il portavoce della missione Unifil in Libano: "Sicurezza innalzata però la tensione è iniziata già il 7 ottobre. Ora ricominci il negoziato"

"Ore di ansia, ma l'Italia fa la sua parte. La via d'uscita è politica, non militare"
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Il rischio escalation, le misure di allerta, l'appello alla stabilità in Libano. Andrea Tenenti è portavoce della missione Unifil, la Forza di interposizione Onu in Libano creata nel 1978. E risponde al Giornale da Beirut.

Tenenti, l'Iran ha attaccato. Cosa sta accadendo?

«Da noi la situazione è sempre stata di preoccupazione dopo i fatti del 7 ottobre. Sono mesi che sta andando avanti questa situazione di tensione. Ovviamente, con il lancio di centinaia di droni dall'Iran in Israele, è stata innalzata la sicurezza all'interno delle basi dei nostri Caschi Blu. Ma siamo sempre rimasti operativi, come è accaduto negli ultimi mesi in seguito ai lanci di razzi; manteniamo una posizione all'interno delle basi per la sicurezza dei nostri peacekeepers. Già questa mattina (ieri, ndr) abbiamo ricominciato con la nostra attività di controllo e pattugliamento della Blu Line nel sud del Libano. Ovviamente, i fatti di questa notte hanno reso ancora più complicata la situazione».

Come è la situazione a Beirut e nel sud del Paese?

«A Beirut la situazione è piuttosto tranquilla, l'attenzione è puntata sul sud del Paese. La vita prosegue normalmente, sono ancora giorni di festa per il Ramadan, c'è un grande movimento. La gente si sta spostando anche al Sud, dove l'attenzione è più forte. Oggi non ci sono stati scontri a fuoco, la situazione è di relativa calma, ma il livello di allarme resta alto. Anche in Libano è stato chiuso lo spazio aereo per la notte, ma ora è stato riaperto.

È stata innalzato il livello d'allarme nelle basi Unifil?

«C'è un'attenzione più forte visto ciò che sta accadendo, un livello precauzionale più elevato. Ma ripeto, non è troppo diverso dagli altri giorni, da quanto stiamo vivendo dal 7 ottobre 2023».

Con l'attacco iraniano in Israele i peacekeepers sono entrati nei bunker?

«No, nei bunker no. Ma quasi tutti i membri sono rimasti all'interno della base».

C'è il rischio escalation?

«È difficile da prevedere al momento, così come complicato è capire come potrà evolversi la situazione. Certamente, più questo conflitto continua e più aumenta la possibilità dell'espandersi del conflitto».

Nessun cambiamento nelle attività Unifil?

«No, anche a livello di pattugliamento tutto è rimasto uguale finora. Abbiamo circa 400 attività al giorno, l'assistenza alle comunità locali».

Preoccupazioni per le basi?

«Come missione di pace ci sono misure di sicurezza già in essere e prese nel passato. In generale le basi sono pronte ad ogni eventualità».

Quale è la soluzione a questo conflitto?

«Chiedere alle parti di cessare il fuoco e continuare a dire che non c'è una soluzione militare del conflitto. L'unica soluzione è politica e diplomatica. È importante che la negoziazione ricominci e che si possa tornare presto alla cessazione delle ostilità, a quel periodo di stabilità che il Libano ha vissuto dal 2006 fino al 7 ottobre 2023. È stato il più lungo periodo di stabilità per il Paese. Occorre muoversi verso il cessate-il-fuoco.

La composizione dei peacekeepers e

il mandato restano gli stessi? Nessun ritiro?

«Assolutamente. In Libano restano 10.500 Caschi blu provenienti da 48 Paesi del mondo. L'Italia, con i suoi 1.050 militari, è il secondo contribuente della missione».

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