Otto italiani su 10 stressati dalla quarantena ma temono più per la salute che per il lavoro

Il Sud depresso più del Nord, quasi tutti d'accordo sul prolungare lo stop

Otto italiani su 10 stressati dalla quarantena ma temono più per la salute che per il lavoro

Lo stressometro si impenna, ma la maggioranza degli italiani continua a manifestare consenso verso le misure restrittive per contenere la pandemia e a essere più preoccupata dall'emergenza sanitaria che dalle sue conseguenze economiche. Sono alcuni dei risultati dell'ultima rilevazione dell'Istituto Piepoli in collaborazione con l'Ordine degli psicologi. Il 79% degli italiani al 2 aprile scorso dichiarava di essere molto o abbastanza stressato dal Coronavirus e a guidare la classifica sono le Isole (84%), il Sud, dal Centro, dal Nordovest e Nordest (73%).

«La crescita di stress è avvenuta nelle ultime tre settimane, dopo la chiusura di tutta Italia - spiega Livio Gigliuto, vicepresidente dell'Istituto Piepoli -. È particolare che lo stress sia più elevato nelle aree meno colpite, il Sud e le Isole, probabilmente perché pensano che il virus possa arrivare in dimensioni più consistenti di quanto sia avvenuto finora. Anche per questo gli spostamenti al Sud, in valore relativo, si sono ridotti più che nel Nord, come comprendiamo dalla tracciatura: c'è più timore, sono più prudenti, preoccupati e stressati». Aggiunge che «non è ancora arrivato il momento dell'insofferenza e delle reazioni, stiamo abbastanza rispettando le regole».

La chiusura mantiene il favore della gran parte degli italiani. Secondo dati del 30 marzo, 9 italiani su 10 sono favorevoli al prolungamento delle misure restrittive, oltre 7 su 10 sono soddisfatti dalle misure di contrasto alla pandemia prese dal governo e 6 su 10 approvano le misure economiche. «È probabile che questo dato cambi e che l'attenzione si sposti sulla componente economica, ma questo tema è ancora secondario tra la popolazione in generale. Le persone preoccupate per la scuola o il lavoro al momento sono una minoranza - spiega Gigliuto -. Sono tutti concentrati sullo sconfiggere il demone». Il premier Conte «non è percepito come di parte e anche se il suo consenso è al 68%, trainato dagli elettori di centrosinistra (82%) e dei 5 stelle (85%), contro un 34% nel centrodestra, «non trascina con sé voti, perché le intenzioni di voto presentano da un mese minime variazioni».

L'Istituto ha studiato la propensione all'acquisto. «È vero che compriamo molto cibo ma facciamo acquisti più primitivi: farina, scatolame, uova, sale, olio, surgelati, perché l'atteggiamento è fare spesa di guerra, cose semplici e durevoli. È un'economia diversa che aiuta alimentari, igiene personale e della casa, farmaci, abbonamenti a servizi di intrattenimento in streaming.

Le comunicazioni sono più in difficoltà perché devono garantire il servizio e riorganizzarsi. Ci sono aree economiche marginali che tengono e altre in sofferenza». L'esito? «Dipende dalla durata perché non avere un confine temporale acuisce la sofferenza».

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