Pamela, la madre in aula: "Oseghale non mi guarda. Non ne ha il coraggio"

Prima udienza del processo in Corte d'Assise. Una folla inferocita ad attendere l'imputato

Pamela, la madre in aula: "Oseghale non mi guarda. Non ne ha il coraggio"

Da una parte nascosto in una felpa c'è lui, Innocent Oseghale, il nigeriano accusato di aver ucciso e fatto a pezzi Pamela Mastropietro. Non alza mai lo sguardo, lo tiene fisso nello stesso punto, quello più lontano dalla famiglia di Pamela, la diciottenne che secondo l'accusa ha violentato, ucciso e fatto a pezzi, nascondendo il corpo in due trolley. Dall'altra c'è Alessandra Verni, la mamma della vittima, stretta in una maglia rosa con sopra stampata l'immagine della figlia con in testa una corona. Sorretta dal marito Stefano Mastropietro, si fa forza abbracciando in aula chi le sta accanto. Lei lo sguardo del carnefice lo cerca, una, due, tre volte. «Se mi ha guardato? No, non ha le palle», dirà più tardi riferita all'uomo accusato di averle portato via la figlia.

È un duello il processo che si è aperto ieri in Corte di Assise a Macerata, presieduto dal presidente della sezione penale del tribunale Roberto Evangelista. Si capisce alla prima udienza, quando l'unico imputato arriva alle 8.30 scortato dagli agenti della penitenziaria di Forlì, dove è detenuto. Anche i suoi avvocati, Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, accompagnati dalla polizia, sono costretti ad entrare da un ingresso secondario. Fuori dal Tribunale la folla ha già emesso il verdetto: «mostro maledetto», «infame» «cannibale». La questura aveva chiesto di non manifestare «per non disturbare i giudici», ma non c'è riuscito chi è arrivato perfino da Roma per urlare il suo sdegno. All'arrivo dei genitori e dello zio di Pamela nel cielo si alzano palloncini colorati in ricordo della ragazza, uccisa il 30 gennaio 2018.

Oseghale è l'unico imputato, chiamato a rispondere di omicidio, violenza sessuale, vilipendio, distruzione, occultamento di cadavere ai danni di una persona in condizioni di inferiorità psichica o fisica. Pamela, infatti, si era allontanata da poco la comunità Pars di Corridonia, dove era ospitata per liberarsi dalla droga. Per l'accusa l'imputato, dopo averla portata nell'appartamento di Via Spalato, l'avrebbe violentata in cambio di una dose di eroina, eppoi uccisa, accoltellandola al fegato, per evitare che chiamasse i carabinieri. Oseghale ha già confessato di aver fatto a pezzi la diciottenne e di averle ceduto la droga, negando però la violenza e dicendo che Pamela sarebbe morta per un'overdose di eroina. «Non sono stato io. Non l'ho violentata, non l'ho uccisa. Voglio pagare solo per quello che ho fatto, non per ciò che non ho commesso», ha detto il pusher ieri per bocca dei suoi legali. «Per la cessione della droga è pendente un altro procedimento - sottolinea l'avvocato Matraxia - sosteniamo che la morte della ragazza sia stata causata da intossicazione acuta da stupefacenti e non per le coltellate». Ma ieri la Corte di Assise ha respinto l'istanza che la difesa aveva avanzato chiedendo la nullità degli accertamenti tecnici irripetibili fatti nel corso delle indagini preliminari e la richiesta di non ammettere che il Comune di Macerata e del proprietario dell'immobile si costituissero parte civile.

I testimoni, invece, saranno una cinquantina, e tra questi gli altri due nigeriani, Lucky Desmond e Lucky Awelima, inizialmente indagati, ma per i quali la procura ha poi chiesto l'archiviazione. Il primo a essere ascoltato sarà Vincenzo Marino, il collaboratore di giustizia che in carcere avrebbe raccolto alcune confessioni di Oseghale. «Ho chiesto che vengano acquisite tutte le sentenze pronunciate nei suoi confronti per valutarne la credibilità - sottolinea l'avvocato Umberto Gramenzi - È stato detenuto in quel carcere 10-15 giorni. Tutte le altre persone che sono state in cella con Oseghale verranno qui a dirci se anche a loro è stato detto questo e cosa possono riferire». La famiglia di Pamela, però, è convinta che non abbia agito da solo.

«Noi continueremo ad indagare - spiega l'avvocato Marco Valerio Verni - Vorremmo venissero fuori anche altre situazioni, come la questione della mafia nigeriana». La mamma di Pamela, invece, è lapidaria: «Ci aspettiamo la condanna di Oseghale al massimo della pena possibile»

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