Il Papa bacchetta i rom. E ora dategli del razzista

Francesco gela la comunità gitana: "Basta pregiudizi ma basta liti, imbrogli e falsità". Un monito che in Italia può permettersi solo lui

Il Papa bacchetta i rom. E ora dategli del razzista

Il Papa davvero può dire ciò che vuole. Con gli zingari si è permesso inviti all'«onestà», ai «doveri» sociali e a non provocare l'opinione pubblica, a smetterla con «falsità, truffe, imbrogli, liti». Roba che in bocca ad altri sarebbe bollata come razzismo. Non si è fermato lì. Ha intimato, due volte, con due punti esclamativi, che i padri si decidano a mandare i figli a scuola. E se i padri non vogliono o sono distratti, se ne occupino i nonni dei piccoli nomadi.

Francesco può, e infatti i gitani accorsi in Vaticano, gremendo l'aula Paolo VI, lo applaudono perché si capisce che li tratta come un padre farebbe con i figli, e vuol loro bene. L'amore può tutto, anche arrabbiarsi. La sostanza del monito resta però nella sua durezza condita di misericordia. Ed è un inedito anche per Francesco che il 5 giugno dell'anno scorso aveva puntato il dito contro i romani. Aveva detto: «Quando prendevo il bus a Roma e salivano degli zingari, l'autista spesso diceva ai passeggeri: “Guardate i portafogli”. Questo è disprezzo - forse è vero - ma è disprezzo». In «quel forse è vero», poco notato dai commentatori, c'era in nocciolo quanto ha svolto ieri al «Pellegrinaggio mondiale del popolo gitano».

L'ultima volta che l'immagine del Papa era stata accostata agli zingari, è stato lo scorso agosto, ad un funerale, peraltro cattolicissimo. Il defunto boss dei Casamonica, che sono gitani di etnia sinti, se ne stava pitturato sui manifesti fuori della chiesa di don Bosco, vestito da Papa, con la cupola di San Pietro accanto al suo viso. Quello però era Papa Vittorio, un apocrifo, e la banda suonava Il Padrino ... Con Francesco è stata tutta un'altra musica. Il vero Re degli Zingari è Bergoglio.

Non è una battuta: il Pontefice romano è davvero il capo spirituale dei nomadi. Pochi lo sanno, ma su circa 110mila tra Rom e Sinti presenti in Italia, 80mila sono cattolici, più del 75 per cento. Così Bergoglio da autentico padre e leader ha abbracciato gli zingari, li ha salutati nella loro lingua, con le parole o Del si tumentsa! (il Signore sia con voi!), ha proclamato la loro dignità e i loro diritti, esaltato la loro cultura.

Poi però li ha afferrati amabilmente per le orecchie. Certo con misericordiosa tenerezza, ma con una franchezza rara. Le sue parole precise sono state: «Cari amici, non date ai mezzi di comunicazione e all'opinione pubblica occasioni per parlare male di voi. Come tutti i cittadini, potete contribuire al benessere e al progresso della società rispettandone le leggi, adempiendo ai vostri doveri». Leggi, doveri.

Ancora: «I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola, non impediteglielo! I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola! (due volte) È importante che la spinta verso una maggiore istruzione parta dalla famiglia, parta dai genitori, parta dai nonni».

Di più: «(Dovete) impegnarvi a costruire periferie più umane... È anche compito vostro. E potete farlo se siete anzitutto buoni cristiani, evitando tutto ciò che non è degno di questo nome: falsità, truffe, imbrogli, liti».

Traduzione: smettetela di rubare, mandate i figli a scuola, e vi guadagnerete il rispetto degli altri. Francesco non ha coltivato né il vittimismo né l'assistenzialismo.

Certo poi il Papa non ha risparmiato un richiamo al resto del mondo. La novità è che ha messo gli uni e gli altri dinanzi alle rispettive responsabilità.

Agli zingari, e a chi non lo è, ha detto: «Che si volti pagina! È arrivato il tempo di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia. È lo spirito della misericordia che ci chiama». E qualche volta prende per le orecchie.

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