Passa alla Camera la norma anti gogna

Nuove regole per la pubblicazione degli atti. Schiaffo ai pm anche sulle intercettazioni di Ferri

Passa alla Camera la norma anti gogna
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Nello scontro di boxe tra politica e magistratura e sui reciproci sconfinamenti che fanno strame della Costituzione, proprio mentre si discute di premierato e poteri del presidente della Repubblica, il Parlamento sferra un uno-due alla frangia più forcaiola delle toghe, la stessa contro cui punta il dito il ministro della Difesa Guido Crosetto. Alla Camera passa il «no» alla pubblicazione dell'ordinanza cautelare (con il voto contrario di M5s, Pd e Verdi-Sinistra) grazie a un emendamento di Enrico Costa (Azione) votato dalla maggioranza. Subito prima, Montecitorio ha negato l'uso di alcune intercettazioni di Cosimo Ferri, magistrato oggi numero due del Csm tributario, già parlamentare e sottosegretario renziano finito nel tritacarne del caso di Luca Palamara per la sua presenza alla cena «carbonara» all'Hotel Champagne captata dal Gico per conto della Procura di Roma.

Il divieto di pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare recepisce la direttiva europea sulla presunzione di innocenza. Il centrodestra ha votato una riformulazione dell'emendamento (con l'aggiunta della frase «in attuazione dei principi e diritti sanciti dagli articoli 24 e 27, ma nel rispetto dell'articolo 21 della Costituzione») che prevede il divieto di pubblicazione «per estratto o integrale del testo dell'ordinanza prima dell'udienza preliminare». Forza Italia esulta con Matilde Siracusano, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento: «Ribaditi garantismo e presunzione di innocenza, cardini chiave della nostra Costituzione». «No, è l'ennesimo gravissimo attacco all'informazione», urlano i Cinque stelle. «Tifano per il marketing politico-giudiziario», controreplica Costa.

Ma c'è un'altra vicenda di cui il Parlamento dovrà occuparsi, e presto. Con 172 sì la Camera ha respinto l'ok all'utilizzo delle intercettazioni di Cosimo Ferri, chieste dal Csm nel processo disciplinare sul magistrato, che per la Procura di Roma avrebbe condizionato Palazzo de' Marescialli per alcune nomine, ma negate dalla Giunta per le autorizzazioni, relatore Pietro Pittalis (Forza Italia). Proprio una sentenza della Consulta che invece aveva sancito che Ferri e Lotti quella sera erano «intercettabili» perché non indagati è da giorni sotto i riflettori dopo le parole dell'ex consigliere Nicolò Zanon, che mercoledì scorso - durante la presentazione del libro di Alessandro Barbano La Gogna sull'Hotel Champagne - ha ammesso «pressioni» sulla Corte pur di non far saltare le indagini del Csm e non smentire la Cassazione sul conflitto di attribuzione (come ha scritto per primo Il Giornale) arrivando a sostenere che il relatore della sentenza era cambiato (fuori Franco Modugno, dentro Stefano Petitti di Md) mettendo così «la Costituzione sotto i tacchi». Ieri la Consulta ha risposto con una nota durissima alle dichiarazioni di Zanon: «L'interpretazione delle sue parole ha ingenerato una rappresentazione distorta delle ragioni sottese alla decisione, la diversità di opinioni tra giudici è fisiologica». Più che stridore di... Ferri e di catene, per usare un versetto dell'Eneide di Virgilio, la nota della Consulta pare stridere con la realtà. Perché Zanon quelle cose le ha dette, c'è l'audio di Radio radicale.

«Il deliberato di un ramo del Parlamento sacrificato sull'altare di altri interessi? Un'accusa del genere non si può liquidare così, chiederò che la Giunta per le autorizzazioni e il Parlamento se ne occupino», dice Pittalis al Giornale. Gong, prossimo round.

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