
L'ultimo segretario dei Ds, cioè la costola ex-comunista del pd, Piero Fassino, non nasconde di essere perplesso. Scendere in piazza per l'Europa, ma poi storcere il naso sul «riarmo» dell'Unione, condizione indispensabile per conquistare un peso maggiore sul piano internazionale, è una contraddizione immanente. Si può anche far finta di niente ma è chiaro che la contraddizione pesa sulla manifestazione del 15 marzo che rischia di diventare solo il festival della retorica. «È incomprensibile...», osserva Fassino, che dà voce al suo stato d'animo sospeso tra delusione e fatalismo: «La sinistra soffre di un riflesso pavloviano: ogni volta che parli di armi e difesa c'è un rifiuto. Un meccanismo psicologico, un'ossessione. Solo che in questo contesto internazionale la priorità dell'Europa è quella. È ipocrita nasconderlo. È inutile andare in piazza se poi rifiuti una simile scelta. La Bindi oggi scopre che c'è la NATO, solo che con Trump quell'ombrello non è poi più tanto sicuro. Senza contare che se investi sulla difesa, se metti in piedi un sistema serio, non saranno i generali a gestirlo, ma la politica e questo significa che si compie un passo importante se non addirittura definitivo verso il processo d'integrazione. La verità è che la sinistra italiana oggi dovrebbe andare a scuola da De Gasperi».
Siamo arrivati al punto che un ex-Pci (Fassino) consiglia ad una ex-Dc (Bindi) di rileggersi il grande Alcide, citato proprio ieri da Ursula von der Leyen. Succede quando si è alle prese con un paradosso latente, cioè marciare per l'Europa ma nel contempo esorcizzare la scelta che dovrebbe assicurare all'Unione un nuovo protagonismo, che dovrebbe consentirgli di uscire dall'età dell'adolescenza. Un'ambiguità che come le ciliegie se ne trascina dietro un'altra, quella di stare dalla parte di Kiev rimuovendo, però, il riarmo, la condizione principale che serve a Kiev per la sua sicurezza. «Non ho parole», si limita a dire il pasionario degli europeisti del Pd, Vincenzo Amendola.
La sinistra italiana è preda di una strana follia che cura con una buona dose di ipocrisia. Un meccanismo perverso. Ne sa qualcosa Michele Serra, l'ideatore della manifestazione per l'Europa, che un giorno sì e l'altro pure deve modificare la piattaforma per consentire a tutti di partecipare. Da Giuseppe Conte che appena ieri ha manifestato con tanto di cartelli a Bruxelles contro le decisioni della Commissione (per lui sarebbe un triplo salto mortale andare poi in piazza per l'Europa), alla sinistra radicale di Fratoianni. Serra per soddisfare le richieste deve aggiungere un po' di parmigiano e un altro pizzico di pepe, solo che una spolverata di formaggio oggi e un'altra di spezie domani, il piatto sta diventando immangiabile anche perché molti di quelli che aderiscono alla manifestazione un attimo dopo fanno a gara per distinguersi dalla politica dell'Unione.
In questa confusione anche i pezzi da novanta si barcamenano. «Chi dice - osserva Matteo Renzi, in versione cerchiobottista - che le armi non servono e inneggiano al peace and love vi prende in giro: è populista. Ma anche chi dice armiamoci e arriviamo a Mosca è folle. Gli 800 miliardi mirabolanti di Ursula servono per stare sui giornali».
Il massimo - mi scuso per il gioco di parole - lo raggiunge l'ex- leader Maximo. Nel solito convegno pacifista, davanti ad una platea di giovani di estrema sinistra, D'Alema liquida il piano della VdL come «incomprensibile». Poi, però, l'inviato del Foglio sorprende l'ex-premier mentre sussurra all'orecchio dell'organizzatore: «il piano di riarmo della Ue è un buon piano».
Succede. Sta peggio, molto peggio di lui, Elly Schlein che deve dare alla sua delegazione a Strasburgo l'indicazione di voto sulla «risoluzione» del Parlamento sul «piano» della von der Leyen. Da giorni si strugge sul dubbio amletico «rearm» o «not rearm». Ieri sera, dopo tanto penare, è stata esclusa l'ipotesi del voto contrario. La maggioranza del gruppo vorrebbe votare «sì». Elly, invece, si è posizionata sull'«astensione» sulla base del concetto del sì al riarmo europeo ma no a quello dei singoli paesi: una teoria complicata come quella della relatività di Einstein. «Astenerci - spiega un autorevole esponente del gruppo Pd - ci isolerebbe dalla sinistra europea. Senza contare che i grandi nomi del partito da Prodi a Letta, da Gentiloni, sono per il sì. Per non parlare di Mattarella.
Elly rischia di bruciarsi un futuro ruolo nazionale con questa scelta». Sì, ma guadagnerebbe - quando si ha a che fare con una gabbia di matti l'ironia è d'obbligo - uno slogan per la manifestazione del 15: «Asteniamoci per l'Europa!».
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