Il peso elettorale di Di Maio: 490 misere preferenze

Parlamentarie flop per l’aspirante premier pentastellato. Il bluff su Dessì: «Rinuncia a candidarsi». Ma non può

Il peso elettorale di Di Maio: 490 misere preferenze

Candidato premier con 490 preferenze: praticamente i voti di un condominio con un paio di scale. Forse ora si comprende perché la Casaleggio, azienda che controlla il partito Cinque Stelle, non voleva mollare i dati sulle cosiddette «parlamentarie» e si trincerava dietro improbabili ragionamenti sulla «privacy» dei votanti (che in totale sono stati, a quel che sostengono i gestori del sito, meno di 40mila): l’azzimato Luigi Di Maio, fortemente voluto dall’erede di Gianroberto alla guida del movimento, non ne esce benissimo. Anzi, non gli sarà facile evitare le ironie: meno di cinquecento i voti raccolti online, su un totale di 2040. Un flop, oltretutto giocando in casa visto che era candidato nel collegio campano di residenza. L’unica consolazione per il buon Giggino è che a Roberto Fico è andata persino peggio: 315 voti, parenti stretti. Per non parlare di Carletto Sibilia, precipitato a 256. Del resto anche le reginette del voto, le vocianti Paola Taverna (2136) e Carla Ruocco (1691), raccolgono un numero di clic che non basterebbe neppure a fare il consigliere circoscrizionale. Il tutto, peraltro, si apprende con due settimane di ritardo: come e quanto, nel frattempo, siano stati rielaborati i dati delle «parlamentarie» resta misterioso. Non bastasse la batosta, l’aspirante premier grillino ieri ha anche dovuto mettere una pezza al caso Dessì: il candidato senatore Cinque Stelle, fedelissimo di Roberta Lombardi, che si vanta di picchiare immigrati (ma su questo i Cinque Stelle sono pronti a passar sopra) e in più scrocca l’affitto di una casa popolare a 7 euro. La polemica dilaga in reste, corredata da foto in cui il personaggio appare abbracciato a Di Battista, Grillo, Virginia Raggi e tutta la compagnia di giro. Così Giggino prova a parare i colpi con un roboante annuncio: «Emanuele Dessì fa un passo indietro e rinuncia a candidarsi». Peccato che sia falso: una vota depositate le liste, la legge elettorale non prevede che si possa rinunciare alla candidatura, neppure in caso di morte del candidato. Dunque il prode Dessì resterà tranquillamente sulla lista elettorale, ed essendo ben piazzato, diventerà probabilmente senatore della Repubblica. «Si dimetterà una volta eletto», dicono i grillini, «ha firmato l’impegno dal notaio». Perché è facile pensare che neppure le ruspe lo smuoveranno più dal seggio, quindi non resta che sperare che rinunci almeno alla casa da 7 euro. Ma chissà. Nel frattempo, Di Maio fa outing e spiega di essere pronto ad intese piccole, medie, larghe e extralarge: «Saremo il primo gruppo parlamentare, quindi per fare un governo chiunque dovrà parlare con noi. E noi non lasceremo il Paese nel caos». Insomma, esattamente quello che per giorni ha smentito di aver detto a Londra, negli incontri super-blindati con i boss finanziari della City: «Falsari, mai ho parlato di larghe intese», tuonava.

Ieri, dalla Sicilia (dove forse ha meno problemi a farsi capire, visto che almeno non si parla l’inglese), l’aspirante premier ripete pari pari quel che negava: pur di entrare nella stanza dei bottoni, è pronto a governare con chiunque: «Pd e Fi, Pd e Leu, Lega e Fi: senza di noi nessuno ha la maggioranza». L’unico che gli apre giulivo le braccia è Pietro Grasso: «Siamo prontissimi a larghissime intese».

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