Utilizzare l'avanzo della bilancia commerciale per sostenere la domanda interna tramite spesa in deficit. È quanto ha proposto il ministro degli Affari Ue, Paolo Savona, in un'intervista alla Verità. Purtroppo, le statistiche si sono incaricate di smentirlo perché proprio ieri l'Istat ha certificato l'arretramento dell'avanzo con l'estero dello 0,8% su base annua a causa della battuta d'arresto (-2,8%) segnato dell'export verso i Paesi extra-Ue nei primi cinque mesi dell'anno a causa degli effetti nefasti dell'applicazione di dazi. Il dato è ancora buono ma, guardando all'aggregato del periodo gennaio maggio (+13,9 miliardi), appare difficile raggiungere i 47,8 miliardi di saldo positivo totalizzati l'anno scorso in un contesto geopolitico nel quale la chiusura agli scambi commerciali sembra farla da padrone tanto negli Usa quanto in Cina.
L'impressione, pertanto, è che Savona abbia voluto giocare una partita personalissima nel dibattito sulla sostenibilità delle politiche economiche promesse dal governo giallo-verde. «L'Italia da tempo vive al di sotto delle proprie risorse, come testimonia un avanzo di parte corrente della bilancia estera», ha ribadito sottolineando che «tale avanzo non può essere attivato, cioè non possiamo spendere, per l'incontro tra i vincoli di bilancio e di debito dei Trattati europei». Secondo il ministro, l'avanzo sull'estero è del 2,7% del Pil (circa 50 miliardi), «esattamente ciò che manca alla domanda interna» e che consentirebbe di intervenire sui temi della disoccupazione e del rischio-povertà in larghi strati della cittadinanza.
È un modo come un altro per spostare il discorso su un'altra questione. La bilancia commerciale, infatti, è parte integrante della bilancia delle partite correnti che, nonostante l'avanzo primario conseguito a suon di tasse (e di export), vede l'Italia costantemente in deficit un po' per la leggerezza con la quale è stata affrontata la spending review e un po' perché i circa 70 miliardi di spesa per interessi sui 2.300 miliardi di debito pubblico zavorrano la nostra economia.
Savona, che è profondo conoscitore di queste dinamiche, ha infatti evidenziato che sarebbe meglio se l'Ue proponesse «nel reciproco interesse un piano di investimenti di tale importo» per far sì che la crescita del Pil nominale sia in grado di rendere sostenibili flat tax, reddito di cittadinanza e revisione della Fornero «senza aumentare né il disavanzo pubblico né il rapporto debito pubblico/Pil su base annua». Quindi si può qualificare la sortita del ministro come un messaggio alla Germania che, con un avanzo commerciale monstre, tiene depressi gli investimenti ricomprando addirittura il proprio debito pubblico. Non è un mistero che Berlino, pur non avendone la necessità, faccia quello che dovrebbe fare Roma con il proprio avanzo.
Savona ha presentato queste tesi come un «piano A» contrapposto al famigerato «piano B» di uscita dall'euro.
Ed è per questo motivo che ha rimarcato la sintonia di vedute con il prudente ministro Tria che, invece, ricordando che è stato proprio il titolare del Tesoro a rimarcare la necessità che l'Unione europea metta al centro le politiche per gli investimenti. «Il problema è la cadenza temporale dell'operazione, non la possibilità di attuarla: esiste cioè una possibilità tecnica, occorre una volontà politica», ha concluso.
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