Il piano di Surovikin ha convinto Putin: "Preso il Donetsk la guerra è conclusa"

Il generale ha imposto la nuova strategia: lasciata Kherson, Mosca punterà al 40% mancante della regione. "Poi tratteremo"

Il piano di Surovikin ha convinto Putin: "Preso il Donetsk la guerra è conclusa"

Qualcuno, dimenticando l'Afghanistan degli anni 80, definisce la ritirata da Kherson la più dura batosta russa dal 1945 ad oggi. La scelta, per quanto obbligata, è in verità militarmente meno devastante di altre decisioni assunte in questi mesi di guerra. Dal punto di vista militare il ripiegamento sulle rive orientali del fiume Dniepr è meno avventato dell'addio a Kharkiv dello scorso settembre quando Mosca abbandonò al proprio destino non solo interi depositi di mezzi e armamenti, ma anche diversi reparti della repubblica indipendentista di Lugansk . La nuova ritirata, pur restando una debacle, evidenzia, invece, un cambiamento nei rapporti tra Cremlino e vertici della Difesa. E può come successe con le batoste afghane degli anni 80, aprire la strada ad un negoziato.

Fin qui la principale preoccupazione dei generali russi, dal capo di stato maggiore Valery Gerasimov in giù, sembrava quella di non infastidire Vladimir Putin celandogli i problemi di un'armata resa ingestibile dalla diffusa corruzione dei suoi quadri e dalle conseguenti malversazioni. Il malvezzo si è ridimensionato con la nomina di Sergei Surovikin, il generale incaricato, un mese fa, di guidare tutte le operazioni in Ucraina. Nonostante il soprannome di «generale Armageddon» Surovikin si è dimostrato molto attento a evitare scelte azzardate. E ha puntualmente evidenziato la difficoltà di rimediare in breve tempo agli errori dei propri predecessori. I duri conti con la realtà sono iniziati con l'avvio della mobilitazione di 300mila riservisti. I magazzini e gli arsenali - dove abbondano i residuati di era sovietica, ma scarseggiano equipaggiamenti e armi recenti - han fatto capire al generale che l'arrivo in prima linea di rinforzi efficienti avrebbe richiesto molti mesi. Surovikin a quel punto ha scelto una spietata strategia di tamponamento rivolta ad annientare a colpi di missile le strutture strategiche del nemico lasciate fino a quel momento intatte. Colpendo centrali elettriche, snodi ferroviari e comandi dell'intelligence ha puntato a paralizzare possibili offensive ucraine e a ritardare lo spostamento di nuove armi occidentali. Subito dopo ha incominciato a muovere i primi cinquantamila uomini resi disponibili dalla mobilitazione. E dovendo scegliere se utilizzarli per salvare Kherson o per completare la presa del Donbass non ha esitato a sacrificare un capoluogo che la pioggia di missili Himars abbattutisi sui ponti del Dniepr rendeva difficile da rifornire.

Più ancora delle scelte strategiche hanno pesato però quelle politiche. Anche perché nella visione di Surovikin la possibilità di annunciare una futura vittoria e andare al negoziato non dipende dalla tenuta di Kherson, ma dalla conquista di quel 40 per cento dei territori del Donetsk ancora sotto controllo ucraino. Soltanto facendo sventolare il tricolore russo su quelle terre Putin potrà annunciare la presa di tutto il Donbass, far dimenticare le perdite umane e e proporre una trattativa. In questa prospettiva Surovikin è riuscito a far digerire la ritirata ad un Cremlino contrarissimo fino ad un mese fa a qualsiasi passo indietro da Kherson. Ma le ragioni della politica non si fermano al Dniepr. Il Presidente sottoposto da mesi alle pressioni del cosiddetto «partito della guerra» guidato dall'ex-braccio destro Dmitrij Medvedev, dal ceceno Ramzan Kadyrov e da Evgenij Prigoin, demiurgo dei mercenari della Wagner, sa bene che tutti in quel trio guardano, in verità, ad un allargamento della propria influenza in vista di una possibile lotta per la successione. E sa anche che il prolungarsi di una guerra fuori controllo può rendere irreversibile il suo addio al potere.

Anche per questo la strategia di Surovikin è diventata la strategia di un Presidente che per la prima volta dal 24 febbraio guarda ad una guerra da chiudere entro la prossima primavera. E a un negoziato da avviare prima che la guerra ridimensioni il consenso del suo popolo.

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