Risalendo non c'è neppure più la corrente. Nel piacentino, il Po, sotto di 8 metri ha fatto spegnere la centrale Enel Green Power: le turbine di Isola Serafini non riescono più a girare. Da risorsa a grande malato, il Po è un'idea di grande fiume ormai in secca, un deserto di sabbia, un ex corso d'acqua dove restano solo ricordi. Anzi riaffiorano: la mancanza di acqua e portata sta facendo ritrovare lungo il suo corso mondi sommersi che si credevano dimenticati. Così fra Cremona e Parma gli abitanti di Polesine Parmense si son visti spuntare quel che resta della frazione di San Vito, spazzata via da una piena anni fa. Case, muri, anche la chiesa. E poi ancora auto, barche affondate nella sabbia a Gualtieri nel reggiano e quel carro armato tedesco spuntato nel mantovano già a tarda primavera. A preoccupare, però, in primis è «quel Po che resta» di un grande fiume: i tecnici sono stati chiari: «La risalita del cuneo salino nelle ore di alta marea ha ormai ha agganciato i 40 km». Tradotto significa che dal delta sull'Adriatico il sale e il mare sono rientrati ormai in pieno e a fondo nel regno golenale e d'acqua che dovrebbe essere dolce e soprattutto potabile. Un danno immenso per l'uomo, gli animali, l'agricoltura. Mare-fiume quaranta a zero: «Anche la portata è vicina alla drammatica soglia psicologica dei 100 metri cubi al secondo», spiegano al rilevamento ferrarese di Pontelagoscuro. Sotto questa soglia la scienza parla di morte del concetto di grande fiume: le conseguenze più preoccupanti sono quelle ambientali, come spiega l'Osservatorio Anbi sulle risorse idriche. Per trovare un record altrettanto negativo bisogna risalire al 2006, quando la portata minima di quel luglio fu di 237 metri cubi al secondo: «Quest'anno chiuderemo il mese a 170 metri cubi che per il nord Italia è una condizione di siccità finora sconosciuta», decretano gli esperti. Sperare nelle piogge aiuta, ma i temporali non basteranno a riportare in equilibrio il bilancio idrico. Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte sono ovviamente anche le regioni che, nel 2021, hanno maggiormente consumato e cementificato suolo, sottraendolo all'agricoltura e alla naturale funzione di ricarica delle falde «accentuando al contempo il rischio idrogeologico», il monito ormai unanime degli studiosi. Non stanno meglio l'Adda, con portata dimezzata e risorse idriche inferiori del 70 per cento; soffre il Piave mentre l'Adige resta a meno 4 metri dal livello idrometrico. Scendendo lungo l'Appennino, il Nure è in secca e presto lo saranno anche Reno ed Enza. Nel Lazio, il Tevere è calato di oltre 10 centimetri, l'Aniene ha una portata ridotta fino al 50 per cento rispetto alla media. Chi si salva? A nord ovest, la valdostana Dora Baltea è una felice eccezione: i suoi numerosi affluenti che scendono dai pochi ghiacci ancora eterni e dalle numerose cascate della vallée permettono ancora di pensare all'irrigazione dei campi, mentre altrove gli idranti sono ormai chiusi da giorni. Al sud eccezione positiva per le riserve idriche pugliesi che registrano ancora un saldo positivo di 6 milioni, mentre nelle Marche nell'ultima settimana sono «evaporati» un milione e mezzo di metri cubi negli invasi.
Oltre alla siccità sulla riviera Adriatica è il caldo a far scattare i primi divieti: in 22 aree del riminese, e poi anche a Goro
e fra Cattolica e Cervia, è stato emesso un divieto di balneazione per presenza anomala e oltre i limiti nelle acque del batterio dell'escherichia coli. Un fenomeno che nemmeno l'agenzia regionale Arpa riesce a spiegarsi.
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