Il premier ci mette la faccia. E Tria esulta: non mi dimetto

Conte s'intesta il dietrofront del governo: il controllo sui conti sarà rigoroso. Il ministro: mai pensato di lasciare

Il premier ci mette la faccia. E Tria esulta: non mi dimetto

Piange il telefono di Palazzo Chigi, sulla richiestissima linea Roma-Bruxelles, ma non è il solo né l'unico. Piangono i nostri conti, in deficit perenne, e i numerini elencati in una selva indistricabile che dovrebbe ricoprire l'indicibile, nascondere la vergogna. L'Italia è in libertà vigilata, le viene notificato per lettera dal «preg.mo» presidente Ue Juncker, a gennaio si vedrà se avrà eseguito i compiti (forse era per questo che il ministro Bussetti aveva raccomandato ai prof di usare la mano leggera, per le feste di Natale). «Il monitoraggio sui conti sarà rigoroso», giurìn giuretta del premier Giuseppe Conte davanti all'aula di Palazzo Madama, e le risorse accantonate saranno rese disponibili solo quando gli obiettivi di bilancio verranno centrati.

La notizia del giorno però è che l'«avvocato del popolo» si sta guadagnando lo stipendio (la parcella, la pagnotta?) e ce lo comunica. Ha concluso un bel patteggiamento, la versione ufficiale; «buon risultato per l'Italia, soddisfacente per la Ue». Soprattutto ci mette lui la faccia nell'indisponibilità di altri, perché anche la plastica presenza del governo in aula reca due clamorose poltrone vacanti e ci ricorda che i due vicepremier avevano impegni elevati e improrogabili: uno se la spassa al Viminale con Al Bano, l'altro in giro per i vicoletti attorno ai Palazzi nell'incertezza di andare oppur no, fino a quando non gli confermano che il dioscuro leghista se n'è lavato le mani. Con quei due vuoti, vere voragini tra Moavero e Tria, era addirittura enfatizzato il passaggio da un governo gialloverde pieno (di sé, se non altro) a un governicchio-Conte «ha da passa', a'nuttata». A gennaio, quando la situazione potrebbe tornare in bilico, si vedrà. La scena finalmente è tutta di Conte, allora. «Quando la commissione ha formalizzato le sue riserve, i margini di negoziazione sono risultati subito davvero contenuti ed esigui, ed è stato allora che mi sono assunto l'onere e la responsabilità di riannodare i fili». Però tutto resta uguale, si affretta a ribadire più volte: reddito di cittadinanza e quota 100 entreranno in vigore «nei tempi previsti» (marzo, anche se il primo aprile sarebbe la data più giusta). Come promesso a Moscovici, il deficit dal 2,4 cala al 2,04, anche perché c'è in giro aria di recessione e la crescita immaginata dai vicepremier (1,5%) ce la sogniamo. Speriamo nell'un per cento stimato da Tria, che poi farà gli scongiuri: «Speriamo di evitarla, la recessione; io non ho mai pensato di dimettermi, mentre ho trattenuto per la giacchetta il mio vice Garofoli». Il risultato di cui essere contenti c'è: abbiamo evitato la procedura d'infrazione, vanta Conte, che finirà addirittura per parlare di «grande giorno per la democrazia» e governo del cambiamento che da ora «lavorerà al meglio». Mentre parla, però, il microfono s'inceppa e fioccano buuu e interruzioni soprattutto dai biliosi banchi del Pd (l'ultrà renziana Teresa Bellanova sfiora l'espulsione).

Segnali negativi che, se non fermano l'avvocato, eppure recano la soffusa sensazione che la Troika sia già tra noi, magari in versione velluto rasato. A garantire il banco resterà Conte, maschera di gomma tra vasi di ferro e facce di tolla.

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