Presi i fratelli rom assassini: la polizia aiutata dalla madre

Erano nascosti non lontano dal campo, hanno 19 e 17 anni. Alla guida il minore La donna l'unica del clan a non depistare: «Se hanno sbagliato devono pagare»

RomaÈ stata la madre a mettere la polizia sulle loro tracce. L'unica della famiglia che non ha depistato gli investigatori raccontando bugie su bugie per confondere le acque. Fin dal primo momento aveva detto che se i suoi figli avevano sbagliato dovevano pagare. Ed è anche grazie al suo aiuto che ieri la Squadra Mobile di Roma ha rintracciato i due fratelli rom che mercoledì sera per sfuggire alla polizia hanno travolto otto persone alla fermata dell'autobus, in via Mattia Battistini, uccidendo una donna filippina di 44 anni, Corazon Abordo Perez.

La polizia li ha trovati alla Massimina, non lontano dagli accampamenti della Monachina e Casal Lumbroso, dove vivono i loro familiari. Antony H. ha 17 anni, Samuele H. ne ha 19. Al volante c'era il minorenne e non si sarebbe fermato all'alt della polizia proprio perché senza patente. Dal giorno dell'incidente i due non si sono mai mossi dalla città. Hanno trascorso cinque giorni in fuga, senza cibo né soldi. Samuele aveva una vistosa ferita alla gamba destra. E ieri, quando la polizia li ha trovati nascosti in un alloggio di fortuna in un campo agricolo, non hanno opposto resistenza e sono scoppiati a piangere, forse pentiti. Sull'incidente non hanno detto una parola, nemmeno più tardi quando sono stati portati in questura per essere interrogati. Davanti al magistrato si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Sono accusati di omicidio volontario in concorso, come la fidanzata diciassettenne di Anthony, che era seduta sul sedile posteriore dell'auto pirata, arrestata subito dopo lo scontro e rinchiusa a Casal del Marmo con il figlio di dieci mesi. Dopo l'interrogatorio i due giovani sono stati portati in carcere, il maggiorenne a Regina Coeli, il più giovane nel centro di prima accoglienza di via Virginia Agnelli.

La sera stessa della tragedia era partita la caccia al minorenne. Il suo telefonino è stato trovato sul sedile di guida e la Lybra, intestata ad un prestanome napoletano già proprietario di 67 macchine, era solitamente usata proprio da lui, come avrebbero dimostrato le immagini delle telecamere di sorveglianza della zona e alcune testimonianze. Le perquisizioni e gli interrogatori a tappeto effettuati negli accampamenti, oltre al prezioso aiuto della mamma dei due giovani, hanno messo poi gli investigatori sulle tracce anche dell'altro fratello, spazzando via i sospetti su altri rom e la vana auto-accusa del padre di Samuele ed Anthony, mai creduto dai pm quando raccontava di esserci stato lui alla guida dell'auto-killer. Ora le indagini continuano per chiarire se a bordo della Lybra ci fosse un quarto uomo, forse un boss del campo di via Cesare Lombroso amico di Anthony, di ben altro spessore criminale. E questo spiegherebbe anche perché sul volante dell'auto non sono state trovate impronte digitali. Le diverse versioni fornite finora da familiari e amici potrebbero essere servite per coprirlo, soprattutto se è vero, come sembra, che la comunità rom fosse divisa sull'opportunità di favorire o meno la fuga dei due fratelli. In quest'ottica potrebbe essere interpretato diversamente anche l'atteggiamento collaborativo della mamma dei due arrestati: voleva davvero assicurarli alla giustizia affinché pagassero per i loro errori o soltanto allontanare da altri e da altro le indagini? L'altra figlia racconta che l'anziana madre ha trascorso la notte nelle campagne a cercare i fuggitivi perché era preoccupata per loro e quando li ha trovati ha subito chiamato la polizia. «Hanno sbagliato e ora è giusto che paghino», conferma la ragazza. Ma la verità potrebbe essere diversa.

Una lezione di grande civiltà è arrivata dal fratello

della filippina uccisa. Ieri è andato al campo dove vivevano i due ragazzi, ma non lo hanno fatto entrare. Non voleva vendetta: «Li volevo abbracciare e fargli sentire che sono umano e non provo odio nei loro confronti».

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