"Presidente, non tutte sono scelte concordate". Così Meloni si blinda da Salvini su porti e Pnrr. E già si è aperta la guerra delle deleghe

Giorgia tiene le carte coperte con gli alleati fino all’ultimo. Spunta il ministero del Mare e le competenze sul Recovery plan vanno a Fitto. La leader Fdi anticipa a Mattarella l’accelerazione. E si porta i neocapigruppo in Cdm. Oggi alle 10 il giuramento al Colle.

"Presidente, non tutte sono scelte concordate". Così Meloni si blinda da Salvini su porti e Pnrr. E già si è aperta la guerra delle deleghe

Prima l'isolamento, chiusa in casa nelle 48 ore che precedono il D-day. Poi l'accelerazione, stando bene attenta a gestire il delicatissimo dossier della nuova squadra di governo in perfetta autonomia. Solo Sergio Mattarella, ormai da giorni, è al corrente di come Giorgia Meloni va componendo tutte le caselle, comprese quelle che restano aperte fino alle ultime ore. A Lega e Forza Italia, invece, il premier in pectore comunica soltanto i nomi dei ministri in quota, guardandosi bene dal fornire un quadro complessivo. D'altra parte, già da qualche giorno la leader di Fdi ha in mente di piazzare due ultimi affondi. E blindarsi dagli alleati. Non a caso, durante il lungo faccia a faccia con Mattarella, mentre gli illustra la lista, Meloni mette le mani avanti: «Caro presidente, mi assumo la responsabilità di prendere alcune decisioni non concordate con gli alleati».

Una di queste riguarda Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture del governo che giurerà questa mattina alle 10 al Quirinale. È per lui, insomma, il primo affondo. Il leader della Lega, infatti, incassa sia la vicepresidenza del Consiglio (insieme al neo titolare degli Esteri Antonio Tajani) che il ministero delle Infrastrutture, ma vede quantomeno compresse le sue deleghe.

Su due fronti. Il primo è il delicatissimo tema immigrazione, perché è alle Infrastrutture che fanno capo i porti (e, dunque, la loro eventuale chiusura, come avvenne nel Conte 1 ai bei tempi andati di Danilo Toninelli al Mit). Ed è evidente che la nomina del fedelissimo Nello Musumeci a ministro del Mare finirà inevitabilmente per impattare sulla questione. Non è un caso che ieri sera la Lega si sia affrettata a precisare che «le deleghe di Musumeci non assorbiranno alcuna competenza attualmente in capo alle Infrastrutture». Una sorta di excusatio non petita, perché è chiaro che - al di là di come sarà scritta la delega - il ministero del Mare sarà un soggetto politicamente competente nel caso in cui il leader del Carroccio decida di rilanciare la crociata dei porti chiusi. Ma un altro paletto arriva sul fronte del Pnrr, visto che la parte più corposa del Piano nazionale di ripresa e resilienza (almeno 50 miliardi di euro su 200) riguarda proprio le infrastrutture. E, dunque, non è un caso che Meloni abbia deciso di attribuire a Raffaele Fitto - uno che con Salvini non ha mai avuto un rapporto idilliaco - non solo la delega agli Affari europei ma anche quella al Pnrr. Anche in questo caso, è del tutto evidente che - almeno politicamente - Fitto avrà grandi margini di manovra sulla realizzazione del Recovery plan. Nonostante sia chiaro che la parte operativa - quella dei bandi - resterà in capo al dicastero delle Infrastrutture.

Poi, certo, tecnicamente molto dipenderà da come verranno scritte materialmente le deleghe di Musumeci (su porti e capitanerie) e Fitto (su eventuali aspetti operativi del Pnrr) dagli uffici giuridici di Palazzo Chigi. E non è un caso che sul punto sia già iniziato un vero e proprio braccio di ferro.

Ma Meloni non si accontenta. E decide di blindarsi anche dentro il Consiglio dei ministri. I fedelissimi Francesco Lollobrigida e Luca Ciriani - confermati capigruppo di Camera e Senato solo quattro giorni fa - entrano infatti in Consiglio dei ministri. Una decisione delle ultime ore, su cui si è ragionato per l'ultima volta ancora ieri, durante un pranzo riservato nel ristorante di Montecitorio a cui hanno partecipato Meloni e i suoi uomini più fidati. Non è la prima volta che un capogruppo passa al governo e non è certo una sgrammaticatura istituzionale, ma mai era successo con una doppia promozione alla nascita dell'esecutivo (e quindi con tempi così stretti). Circostanza che lascia supporre - come confermano da Fdi - che la scelta sia arrivata nelle ultime ore. Con l'intento, appunto, di avere un Consiglio dei ministri il più affidabile possibile.

Un governo, insomma, che nasce strizzando l'occhio al «metodo Draghi». Con Meloni che gioca in solitaria e tiene le carte coperte fino all'ultimo minuto. Con un esecutivo a trazione Fdi (9 ministri, contro 5 della Lega, 5 di Forza Italia e 5 tecnici), di fatto blindato in quanto a fedeltà al premier.

E con Salvini che viene «accerchiato» su porti e Pnrr.

Questa mattina al giuramento al Quirinale saranno solo sorrisi, ma da domani - prima la cerimonia della campanella con Mario Draghi, poi il primo Consiglio dei ministri - si aprirà la guerra delle deleghe.

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