Il pressing discreto di Mattarella: Mario, devi pensare al bene dell'Italia

Faccia a faccia dopo 7 giorni. Il premier colpito dall'interesse dei Paesi stranieri

Il pressing discreto di Mattarella: Mario, devi pensare al bene dell'Italia

E a un certo punto, verso la metà della chiacchierata, dopo aver esplorato tutti gli scenari, considerato tutte le variabili e valutato tutte le sorprese, i due rimangono in silenzio a guardarsi per qualche lunghissimo secondo. Si può fare? Ce la facciamo a continuare? Sergio Mattarella, per ruolo e per formazione, è un inguaribile possibilista, del resto ha appena finito di ricordare al premier «il quadro internazionale» e i rischi per l'economia: in questo momento, dice, l'Italia ha «bisogno come il pane» di stabilità politica, come peraltro ci chiedono pure dall'estero. E Mario Draghi sarebbe pure d'accordo. Se ci sono «le condizioni», cioè l'agibilità di governo, lui è disposto a finire la missione. Ma come? Con quale maggioranza? Con Conte, senza Conte? Il centrodestra ci sta? E il Pd regge?

Un incontro di «attesa», secondo Palazzo Chigi. Al Quirinale lo definiscono «interlocutorio». Comunque un colloquio «fattivo», il primo dopo una settimana dove non ci siano sul piatto le dimissioni del presidente del Consiglio. Draghi, finora mai sfiduciato in Parlamento, non sale per rimettere il mandato ma per consultarsi con il capo dello Stato, per vedere insieme se esiste una soluzione. Un passo avanti, anche se nessuno si fa troppe illusioni: come un enorme cubo di Rubik, ci sono ancora troppi incastri da mettere a posto, troppe sensibilità da considerare. Prima di salire sul Colle Draghi ha ricevuto Letta per un'ora, provocando «lo sconcerto» del centrodestra di governo. Così tocca a Mattarella metterci una pezza: forse sarebbe il caso, lo consiglia, di sentirli tutti. In serata Super Mario provvede.

Insomma, Draghi continua a «riflettere», cercando il modo di andare avanti perché sente forte la responsabilità dell'incarico. Il premier, racconta, ha apprezzato gli inviti a restare arrivati dal Papa, dai sindaci, dalla gente comune, ha subito il pressing internazionale ed è ben conscio della fase storica che stiamo attraversando. I problemi del Paese sono tanti - il Pnrr da mettere al sicuro, la guerra, l'energia, l'inflazione, il disagio che monta - e non vuole certo fare la parte del comandante che abbandona la nave nella tempesta.

Però, si lamenta con Mattarella, il timone deve restare nelle mie mani. Al di là dei contorcimenti di Conte e della disgregazione dei Cinque Stelle, chi può garantire che d'ora in avanti i partiti mi lascino governare? Forse solo un impegno pubblico dei leader alla Camere su un programma mirato. Ma devono finirla con i veti e gli ultimatum.

E qui il presidente della Repubblica fa quello che gli riesce meglio, il presidente della Repubblica. Mattarella ascolta, si informa sui risultati del viaggio in Algeria per il gas, raccoglie lo sfogo, illustra percorsi istituzionali e soluzioni politiche possibili, senza prendere parte o interferire nel dibattito. Tanto i canali sono già aperti, i contatti riservati avviati. No, niente ingerenze, non c'è bisogno, la trattativa prosegue da sola.

Con Draghi pure, gli basta restare sulle generali, ricordare ad esempio le grandi aspettative internazionali e le speranze europee sul nuovo ruolo centrale italiano. Parlare della guerra, delle riforme europee, della crisi energetica. Sottolineare come una crisi di governo porterebbe scompiglio sui conti pubblici. Ventilare come uno scioglimento anticipato delle Camere a luglio significherebbe non avere alcuna certezza ne controllo sulla legge Finanziaria. Agitare lo spettro dell'esercizio provvisorio di bilancio.

E poi, una considerazione su tutte. Se il premier si dimette, rimarrà comunque incatenato altri tre mesi a Palazzo Chigi per l'ordinaria amministrazione, senza poteri e senza maggioranza, un generale senza munizioni chiuso nel fortino a cercare di tamponare le varie emergenze. Non che l'altra ipotesi sia molto più allettante, restare sei-otto mesi alla guida di una coalizione inaffidabile, sempre più tarantolata con l'avvicinarsi delle elezioni e comunque ancora da ricostruire.

Ma il campo da gioco è questo, rammenta Mattarella, il mandato di un anno e mezzo fa prevedeva proprio che Draghi, grazie alle sue capacità e al suo peso internazionale, facesse sintesi e trascinasse l'Italia fuori dalla secche. Bene, cerchiamo di finire il lavoro.

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