Roma Assieme al Partito democratico, si scinde anche la cassaforte dei gruppi parlamentari alla Camera e al Senato. E questa, per Pier Luigi Bersani e soci, è già una grande notizia. Lo scorso anno, per esempio, il gruppo Pd a Palazzo Madama ha investito mezzo milione di euro in iniziative di propaganda per il Sì al referendum costituzionale. Una somma che l'ormai ex minoranza, schierata per il No, aveva visto sottrarre alle proprie iniziative politiche e parlamentari. I ribelli riprendono così in mano le chiavi della cassa.
Secondo un calcolo effettuato dall'associazione Openpolis, i gruppi percepiscono tutti gli anni 50mila euro per ciascun deputato e 67mila per ogni senatore. Si tratta di una ripartizione proporzionale: i grandi incassano di più, i piccoli di meno. I cinquantuno parlamentari del movimento Articolo 1 Democratici e progressisti, 36 alla Camera e 14 al Senato, metteranno assieme un gruzzolo da quasi 2 milioni e 800 mila euro. Il tutto a spese di Partito democratico, che perde venti deputati e quattordici senatori, e Sinistra italiana, che farà a meno di 17 iscritti a Montecitorio. I Democratici e progressisti, che sono già la quarta forza per dimensioni nell'aula presieduta da Laura Boldrini, percepiranno contributi superiori a quelli di Lega e Area popolare.
In media, i gruppi utilizzano il 70 per cento dei fondi per stipendiare i dipendenti o per consulenze esterne. Il resto, specie dall'abolizione dei rimborsi elettorali decretata nel 2014 dal governo Letta, viene utilizzato per sostenere parte della comunicazione dei partiti di riferimento. Una torta da oltre cinquanta milioni di euro l'anno, che in tempi di magra dà ossigeno ai bilanci della politica.
I parlamentari del nuovo schieramento glissano sulla maggiore autonomia finanziaria: «Una parte consistente dei soldi, come sempre, verrà utilizzata per pagare il personale. Rimarrà ben poco da destinare alle attività esterne», ha detto Alfredo D'Attorre, ex di Sinistra italiana, a margine della conferenza di presentazione del nuovo movimento sabato scorso a Roma. Nico Stumpo, deputato ex Pd che sta organizzando il nuovo movimento al Sud, taglia corto: «Siamo andati via per motivi esclusivamente politici. Non è mai stato una questione di fondi, e non lo sarà nemmeno quando la nostra forza in parlamento crescerà ancora».
Almeno per un po', i contributi versati dalle camere rimarranno nelle mani di Pd e Sinistra italiana, che dovranno girarli al movimento di Roberto Speranza e Arturo Scotto. Spiega Vincenzo Smaldori, responsabile contenuti di Openpolis: «Il denaro assegnato a ciascun gruppo e le relative spese si sapranno non appena le Camere pubblicheranno i loro bilanci annuali. È probabile che adesso si apra un periodo di transizione di sei mesi o un anno, a meno che non si trovi il sistema per accelerare le procedure». Alla Camera, dopo il battesimo ufficiale della nuova formazione, avvenuto martedì scorso, la transizione è partita.
A cominciare dagli spazi. I Democratici e progressisti hanno avanzato la richiesta di occupare un centinaio di metri quadrati di uffici, fino a ieri destinati al Pd. Le pratiche per rendere il divorzio definitivo proseguono spedite.
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