Il pasticcio dei dati in Lombardia, sì. Ma anche il pasticcio dell'Rt, il criterio che stabilisce ormai la vita o la morte delle attività commerciali, ristoranti e bar, facendo scattare le zone gialle, arancioni e rosse. Nel caso lombardo l'effetto dell'errore sul calcolo dei guariti ha fatto schizzare il parametro che misura la velocità del contagio. Eppure nonostante siano 21 teoricamente gli indicatori su cui il governo e il Comitato tecnico scientifico si basano per suddividere l'Italia nelle varie fasce di rischio, l'Rt - che si basa solo sui contagi sintomatici - continua da solo ad avere più «peso rispetto a quello che dovrebbe avere», spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Che già a novembre in audizione parlamentare aveva «evidenziato le criticità» generate dalle valutazioni basate soprattutto sull'indice di trasmissione. Ma anche le Regioni e i tecnici avevano chiesto di dare più rilievo ad altri indicatori, come i contagi per abitanti e i ricoveri non solo le terapie intensive e non solo nei reparti Covid.
«Avevamo segnalato che dare all'Rt un peso così determinante nell'assegnazione delle zone di rischio fosse eccessivo - ricorda - Ma è un parametro che è stato condiviso da Regioni e governo, perché serviva un numero semplice, estratto dai 21 indicatori, che permettesse di pesare sul risultato finale. Però una serie di criticità metodologiche - spiega Cartabellotta -: considera per esempio solo i soggetti con sintomi e in una fase come quella tra ottobre e novembre, caratterizzata da molti soggetti asintomatici, l'Rt ha sottostimato la circolazione del contagio. Abbiamo evidenziato in sede istituzionale la debolezza di questo indicatore, che ovviamente diventa un problema quando si dà a questo criterio un peso enorme. Se l'Rt fosse davvero solo uno dei 21 indicatori avrebbe un minore impatto, ma se, come accade, anziché un ventunesimo gli attribuisco il 50 per cento del peso sulle decisioni finali allora il rischio è di distorcere il quadro».
L'Rt infatti è il primo a scendere quando si applicano misure restrittive, ricorda Cartabellotta, e il primo salire quando vengono allentate: significa che nel momento in cui migliora le Regioni escono «troppo presto» dalla fascia di riferimento, e quando peggiora ci entrano «precocemente» - da gialla ad arancione o da arancione a rossa. «È necessaria una revisione del sistema - sostiene -, ma ci vuole una valutazione politica». Quanto ai dati sbagliati, né il ministero della Salute né l'istituto di Sanità «esercitano un controllo della qualità o una verifica della completezza dei dati delle Regioni. La responsabilità è della singola Regione, poi tutti i dati inviati vengono solo elaborati. Sarebbe impossibile controllare, il sistema di trasmissione dei flussi di dati aggregati non consente procedure di verifica».
Senza dimenticare le storture che si creano nelle fasce arancioni o rosse tarate a livello regionale, ma che al loro interno hanno forti differenze epidemiologiche tra le province. Lo stesso sindaco di Bergamo Giorgio Gori aveva chiesto per la sua città una deroga alla zona rossa lombarda per salvare le attività economiche.
Per evitare di danneggiare eccessivamente territori che hanno dati più bassi rispetto alla Regione, secondo Cartabellotta sarebbe necessario consentire ai governatori di differenziare: «Ma per legge le Regioni possono decidere solo misure in senso più restrittivo rispetto ai dpcm, non il contrario. Ma le realtà sono diverse e spesso si finisce per imporre restrizioni eccessive anche dove la circolazione del contagio è minore. Ma bisognerebbe cambiare la legge».
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