Dalle università, alle piazze, fino alla Casa Bianca. Non c'è un bel clima negli stati Uniti con le proteste anti-Israele e pro-Palestina che stanno divampando in tutto il Paese, assumendo toni e modalità che vanno ben oltre la libertà di parola tanto cara ai padri fondatori. Picchetti violenti, intolleranza, aggressioni e l'altra sera una manifestazione a Washington, dove si teneva la cena di gala dei corrispondenti della Casa Bianca. «Avete il sangue sulle mani», hanno gridato in strada issando una bandiera palestinese lunga diversi metri nell'hotel che ospitava l'evento.
Un gruppo di giornalisti palestinesi aveva apertamente chiesto di boicottare la cena perché «è inaccettabile rimanere in silenzio, per paura o per ragioni di carriera, mentre i giornalisti a Gaza continuano ad essere detenuti, torturati e uccisi mentre fanno il loro lavoro», hanno scritto in una lettera aperta, puntando sugli almeno 97 giornalisti uccisi dall'inizio della guerra, secondo i manifestanti con «la complicità del governo Biden». Tira una brutta aria e da mesi, ogni volta che il presidente presenzia un evento spuntano protese contro quello che hanno ribattezzato «Joe il genocida», tanto da costringerlo a limitare le sue uscite pubbliche in un momento particolare come la campagna elettorale presidenziale. Per il momento Biden è annunciato a due eventi a rischio, all'università della Georgia e all'accademia militare di Westpoint ma non è escluso un cambio di agenda. «Il presidente sa che ci sono sentimenti molto forti riguardo alla guerra a Gaza. Lo capisce, lo rispetta e, come ha detto molte volte, noi certamente rispettiamo il diritto alla protesta pacifica. Le persone dovrebbero avere la possibilità di esprimere le proprie opinioni e di condividere pubblicamente le loro prospettive, ma deve essere pacifico», ha detto il portavoce della sicurezza nazionale Usa John Kirby aggiungendo che «condanniamo assolutamente il linguaggio dell'antisemitismo di cui abbiamo sentito parlare ultimamente e condanniamo tutti i discorsi di odio e le minacce di violenza».
La situazione negli States infatti è parecchio tesa. Anche la candidata alle presidenziali del partito verde Jill Stein, 73 anni, è stata arrestata l'altro giorno durante una protesta alla Washington University. Momenti di tensione, protese ed episodi di intolleranza verso studenti di fede ebraica che, ovviamente, non hanno nulla a che vedere col conflitto in Medioriente stanno dilagando un po' in tutti gli atenei con già 500 persone che sono state arrestate e molte altre sgomberate. L'Università della California del Sud ha annunciato di aver chiuso temporaneamente il suo campus principale nelle scorse «a causa di un'azione di disturbo» mentre il dipartimento di polizia di Los Angeles ha emesso un allarme tattico in tutta la città in modo tale da essere pronta a intervenire in caso di necessità. Proteste dure, tra le altre, anche a Princeton, all'Emerson College di Boston, alla New York University, all'Università del Texas ad Austin, all'Ohio State University di Columbus, alla Emory University di Atlanta e all'università dell'Indiana con accampamenti improvvisati e l'intervento delle forze dell'ordine.
Una protesta, in parte spontanea e in parte pilotata che ha contagiato anche il Canada: alla McGill University di Montreal alcuni studenti si sono accampati affiggendo uno striscione con scritto «non permetteremo alla nostra università di essere complice del genocidio». No, non c'è per nulla un bel clima.
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