Segnale polemico alla premier in piena sessione di bilancio. Teatrino per distogliere l'attenzione dai vistosi problemi interni al partito. Disorganizzazione e assenteismo da martedì mattina. Nei capannelli di deputati in Transatlantico, subito dopo le comunicazioni al Parlamento di Giorgia Meloni alla vigilia del Consiglio europeo, non si discute d'altro: per quali oscuri motivi la Lega ha disertato in massa Montecitorio? Le ipotesi fioccano.
Quando la premier sale sui banchi del governo e inizia il suo intervento, accanto a lei c'è il vicepremier di Forza Italia Antonio Tajani ma manca quello del Carroccio Matteo Salvini, sostituito sullo scranno dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. La stessa Meloni lancia uno sguardo perplesso ai banchi leghisti, semideserti. Non che l'emiciclo sia affollatissimo: sono le dieci di mattina, dopo una lunga nottata insonne di liti e votazioni in Commissione sulla legge di bilancio: è comprensibile. Ma certo quello spicchio di scranni vuoti alla sua destra spicca. Manca Salvini, manca persino il capogruppo Riccardo Molinari: i leghisti presenti si contano sulle dita di una mano. Tre parlamentari (Ravetto, Candiani, Giglio Vigna), due ministri (oltre a Giorgetti anche Giuseppe Valditara), il sottosegretario Rixi. Gli altri? Desaparecidos.
Le opposizioni si entusiasmano: «Non so cos'è accaduto ai colleghi della Lega, spero nulla di grave», motteggia il dem Provenzano nel suo intervento. In Transatlantico, i cronisti assediano i pochi presenti del Carroccio: perché non c'è nessuno? «Perché non ce ne frega un c....», replica brutale Stefano Candiani, pensando probabilmente all'un tempo odiata Unione europea. Poi annacqua: «Era una battuta, c'è la sessione di bilancio, arriveranno più tardi: il calendario in questo periodo è un casino». Esibisce il whatsapp giustificativo di una collega: «Il treno è in ritardo», scatenando le ironie di giornalisti e oratori dell'opposizione sul ministro dei Trasporti Salvini: «La Lega ha perso il treno», dicono i grillini. «I binari saranno pieni di chiodi», infierisce il verde Bonelli. Meloni la prende con spirito: «Sono arrivata in ritardo anche io che vengo in auto. E il sindaco di Roma non è della Lega».
Mentre Tajani fa notare che «noi ci siamo tutti», Salvini corre ai ripari: «Polemiche inventate dal nulla». Rende noto di aver precettato i deputati: «Tutti in aula per la replica di Meloni», e fa sapere che «voteremo compatti e con convinzione la risoluzione di maggioranza». Gli alleati allargano le braccia: «Probabilmente, disertando l'aula, voleva creare un diversivo per far dimenticare i suoi problemi interni», dice un deputato azzurro. Sottolineando l'«assedio» politico attorno al vicepremier: il governatore della Lombardia Attilio Fontana che chiede «più attenzione al Nord» e «un cambio deciso di passo» da parte del leader. L'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli che invita Salvini a «togliere il suo nome dal simbolo», tanto «non sarà mai premier».
Il capogruppo al Senato (nonché neo-segretario della Lega lombarda) Massimiliano Romeo che avverte: «La leadership non è in discussione ma dobbiamo ragionare su come dare nuovo slancio alla Lega». Scricchiolii allarmanti in un partito un tempo compatto come una falange. In ogni caso «non è stata una bella scena», commenta arcigno un esponente di Fdi.
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