Raggi e Zingaretti litigano per colpa dei cinghiali

Dal Campidoglio depositano un esposto contro la Regione per la cattiva gestione della fauna selvatica, dimenticandosi dei problemi impellenti. Così la campagna elettorare diventa comica

Raggi e Zingaretti litigano per colpa dei cinghiali

I cinghiali di Roma diventano un caso politico. O meglio, tornano ad esserlo, visto che la fauna di unghulati capitolini è sempre più numerosa e da anni al centro delle carte bollate che rimbalzano tra Campidoglio e Regione Lazio. Ora, in piena campagna elettorale, il sindaco di Roma Virginia Raggi ha deciso di scrivere un nuovo capitolo della faida, presentando un esposto in Procura contro la Pisana governata da Nicola Zingaretti in cui si afferma che la "presenza massiccia e incontrollata dei cinghiali" a Roma sarebbe "conseguenza della mancata previsione e/o attuazione da parte della Regione Lazio di efficaci piani di gestione".

Secondo il Campidoglio insomma la Pisana non starebbe rispettando l'articolo 19 della legge 157 del '92 che prevede che siano "le Regioni a dover provvedere al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia". Nell'esposto si fa pure riferimento al Protocollo d'Intesa sottoscritto tra Città Metropolitana di Roma Capitale e Roma Capitale che prevede che sia appunto l'ente regionale "a dover predisporre piani di gestione nelle aree ricadenti nel territorio di Roma Capitale e a dover individuare strutture regionali in grado di ricevere gli animali vivi, catturati nell'ambito delle attività di controllo numerico".

Posto che con tutti i problemi che ci sono a Roma è grottesco che la Raggi si affidi alle carte bollate per un motivo del genere e cerchi di smarcarsi in tutti i modi, e già da tempo, appellandosi al "Protocollo" sottoscritto a settembre del 2019 che è servito solo a regolamentare uno scaricabarile cronico, a parte dare sempre la colpa alla Regione il Comune come si è mosso? Male, ovviamente. Perché in base al famoso Protocollo Roma Capitale avrebbe dovuto provvedere, per dare una mano nel contenimento del fenomeno, quantomeno col più basilare degli adempimenti: pulire.

Nelle carte c'è scritto chiaramente che il Comune deve "porre in atto tutte le misure possibili volte a evitare la presenza di rifiuti organici e non in tutto il territorio di competenza". Perché ovviamente i cinghiali sono attratti dal cibo che straborda spesso dai cassonetti della spazzatura e visto che la città di Roma è puntualmente invasa dall'immondizia, ecco che i cinghiali escono come formiche. E che dire del compito di provvedere alla pulizia delle aree verdi, "nelle quali l'eventuale eccessiva crescita della vegetazione - si legge sempre nel Protocollo - può fornire ai cinghiali un nascondiglio". Nella Roma dell'era Raggi gli spazi verdi sono tutt'altro che curati. Ultimo, ma non in ordine di importanza, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto anche promuovere "iniziative volte a individuare metodi alternativi agli abbattimenti selettivi" per il contenimento della specie. L'unica cosa che è stata fatta però è proporre la creazione delle "oasi per ungulati" che nessuno ha mai visto, tenendo solo la gabbia come destinazione per gli animali catturati e, di conseguenza, il macello. O, in alcuni casi, l'abbattimento seduta stante come accadde ai 6 cuccioli nell'ottobre 2020 che scatenò sdegno anche all'estero.

Sebbene la Raggi abbia incassato il sostegno elettorale anche dell’ex segretario cittadino del partito Animalista Maurizio Lombardi Leonardi e di un animalista di lungo corso come Alfonso Pecoraro Scanio, la sua malagestione della fauna ungulata aveva spinto pochi mesi fa alle dimissioni Loredana Pronio, delegata comunale al

benessere degli animali del Campidoglio, presidente della Feder F.I.D.A. Onlus.

Virginia Raggi dalla realtà ci tiene a tenersi sempre ben distaccata, e anche nel campo dei temi fantasiosi riesce comunque a rimediare brutte figure.

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