Raggi non cambi nome alla Cultura

Se vuole allargarsi, posso suggerirle la denominazione che io stesso ho scelto

Raggi non cambi nome alla Cultura

Nonostante gli autorevoli consulenti, Virginia Raggi ha minacciato di forzare le denominazioni generali, ma non generiche, degli assessorati alla Cultura e all'Ambiente in quelle di «Crescita culturale» e «Sostenibilità ambientale»: due formule senza senso.

La cultura è in sé crescita, come insegnava Spinoza, nella sua Ethica ordine geometrico demonstrata: bene e male non sono una buona o una cattiva azione, ma bene è ciò che fa crescere la conoscenza, male è ciò che la ostacola.

Non è infrequente leggere formule tautologiche come «indagine conoscitiva» o «restauro conservativo». Particolare fortuna hanno avuto vocaboli come «crescita» e «sostenibilità». Si è parlato, e si parla, di «sviluppo sostenibile», per indicare il limite fino al quale si può arrivare nel danno all'ambiente. Come dire: a un certo punto bisogna fermarsi.

In realtà lo sviluppo dovrebbe essere semplicemente coerente e armonioso, non alterando i caratteri dominanti della natura e delle aree urbane.

La parola «armonia» sembra dimenticata. Manca, probabilmente, un «assessorato all'armonia».

Tutto il resto è «insostenibile», e generato dalle mode linguistiche determinate dal pensiero debole prevalente negli ultimi decenni, in cui si è formata la Raggi, fra retorica e giustizialismo.

Occorre, invece, «intransigenza», parola dimenticata nonostante i comportamenti che ha ispirato. Ecco: occorre essere intransigenti, anche con se stessi.

E misurare le parole senza concessioni a mode, culturali e linguistiche.

Eviti, dunque, la Raggi, le formule sostitutive che le sono attribuite, e ritorni al semplice linguaggio della Costituzione: assessorato alla tutela del paesaggio
(o dell'ambiente); assessorato alla Cultura.

Se vuole allargarsi, posso suggerirle la denominazione che io ho scelto, e che anche a lei, come credo, conviene: «assessorato alla Rivoluzione (culturale)».

Con tutti gli auguri.

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