
Voglia di riflettori e regolamenti di conti. Ma alla fine, tra svariati puntini sulle «i», l'Aula di Strasburgo appoggia il piano ReArm presentato ieri all'Europarlamento da Ursula von der Leyen: 800 miliardi ritenuti «necessari» da Bruxelles nei prossimi 4 anni. Europa chiamata a farsi carico della propria sicurezza, insiste la presidente della Commissione, «non in un lontano futuro ma oggi, con il coraggio che richiede la situazione». Attorno ha i rappresentanti eletti nei 27 Stati membri che dovrebbero indebitarsi per sostenere simili investimenti in difesa; con una ancora poco chiara cornice entro cui muoversi per chiedere prestiti alla Bei (150 miliardi).
Il Ppe, famiglia politica di Ursula, non si accontenta della citazione di un padre fondatore: 70 anni fa, ricorda Von der Leyen, De Gasperi disse «dobbiamo costruire una difesa comune, non per minacciare o conquistare, ma per fungere da deterrente» a ogni attacco esterno guidato dall'odio, oggi abbiamo lo stesso compito, la pace non può più essere data per scontata». La stoccata di Manfred Weber a Ursula arriva comunque: «Serve maggior legittimità democratica per il ReArm, coinvolgere pienamente il Parlamento, bypassarlo con l'art. 122 è un errore», dice il presidente del Ppe. Ma alla fine il gruppo dominante appoggia il pacchetto.
Von der Leyen dà un nome alla minaccia, lo zar russo: «Putin è un vicino ostile, di cui non ci possiamo fidare, può solo essere scoraggiato». Rivendica la procedura accelerata per riuscirci: «È finito il tempo delle illusioni, dobbiamo andare oltre il 3% per la Difesa, raggiungere la pace attraverso la forza, abbiamo bisogno di velocità e di scala, per questo abbiamo scelto la procedura d'emergenza pensata per i momenti in cui sorgono difficoltà nell'approvvigionamento, è l'unico modo, ma terremo il Parlamento costantemente aggiornato».
Mancano droni, missili, munizioni all'appello. Tra i socialisti c'è chi nicchia. Ma la capogruppo S&D, Perez, dà l'ok al ReArm pro-Kiev chiedendo alla Commissione «più debito comune e una visione strategica» non puramente bellicista. Contrarie al piano le sinistre The Left, accusano Von der Leyen di puntare sulla «soluzione militare». L'Ecr co-guidato dal meloniano Procaccini dice sì alle difesa continentale, ma si chiami Defend Europe, poiché pace e libertà vanno difese non solo con le armi ma con infrastrutture e tecnologie, mettendo in guardia l'emiciclo dal considerare il piano come una rappresaglia verso gli Stati Uniti. Ursula schiva ogni riferimento negativo a Trump ascoltando i conservatori.
A Parigi, intanto, andava in scena il vertice convocato da Macron con i capi di Stato maggiore della difesa: in 34 alla riunione dei «volenterosi». Per il ministro Lecornu, «una prima pietra alle garanzie di sicurezza per Kiev» che esclude ogni forma di «smilitarizzazione». Per l'Italia, il generale Portolano osservatore; poi altri membri Nato, tranne gli Usa; Corea del Sud, Giappone, Paesi del Commonwealth, per capire le reali intenzioni di Macron e idealmente creare massa militare in grado di ritagliarsi un posto nelle trattative. Ma come detto ieri da Weber a Ursula, nel caso in cui Trump ci inviti al tavolo, chi parlerà per l'Europa? Von der Leyen? Costa? Merz? Macron? «In futuro dovranno essere i cittadini a eleggere il presidente della Commissione, è ora di pensare in grande», il guanto di sfida che apre un nuovo fronte. Per Bardella, lepenista e N.1 dei Patrioti Ue, va accolta la proposta della premier Meloni di promuovere un vertice Ue-Usa per raggiungere «adeguate garanzie di sicurezza per la sovranità dell'Ucraina». Un addio granitico al passato filo-russo.
Per l'Afd, Zelensky è invece ormai «illegittimo». Settimana prossima il Consiglio europeo, per dar corpo a vie di deterrenza ancora confuse. Oggi a Parigi i 5 ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia, Polonia, Gran Bretagna.
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