Regge lo schema Ursula. Va in crisi lo storico asse franco-tedesco. L'avanzata della destra

Terremoto nei governi di Parigi e Berlino. Ora il voto per la Commissione può slittare

Regge lo schema Ursula. Va in crisi lo storico asse franco-tedesco. L'avanzata della destra
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L'Europa vira a destra, con affermazioni attese ma importanti in Paesi chiave dell'Unione come Francia e Germania (e non solo). Ma, come è sempre stato piuttosto chiaro nonostante le dichiarazioni di circostanza, per decidere il presidente della Commissione Ue si dovrà nuovamente passare dalla cosiddetta «maggioranza Ursula». Quella che nel 2019 - sull'asse tra Ppe, socialisti di S&D e liberali di Renew - elesse von der Leyen. In buona parte attesa, ma forse non in maniera così netta, c'è invece la clamorosa sconfitta casalinga di Olaf Scholz ed Emmanuel Macron. Non un dettaglio, perché - ormai dalla metà degli anni Sessanta - l'Europa è storicamente a trazione franco-tedesca. Non solo politicamente, ma anche dal punto di vista della burocrazia che tra Bruxelles e Strasburgo decide i destini di Commissione, Consiglio e Parlamento Ue. E il fatto che il cancelliere tedesco e il presidente francese escano pesantemente ammaccati dalla tornata elettorale non è un dettaglio. Continueranno ad avere un ruolo centrale per l'indicazione del futuro presidente della Commissione, certo. Prima del voto dell'Eurocamera (a scrutino segreto), il nome deve comunque passare dal Consiglio Ue e avere il via libera di almeno 14 Paesi su 27 che rappresentino il 65% della popolazione. E Germania e Francia insieme contano 150 milioni di abitanti, un terzo dei 450 milioni di tutta l'Ue. Difficile, insomma, muoversi senza di loro. Però è chiaro che Scholz e Macron si siederanno al tavolo senza la forza che avevano ieri. Con conseguenze oggi non prevedibili.

Il primo rischia seriamente le elezioni anticipate in Germania. Stando alle proiezioni, i socialisti della Spd sono infatti arrivati terzi con il 14%, doppiati dalla Cdu-Csu (al 30) e scavalcati anche dalla destra cripto-nazista di Afd (al 16). Di più. La coalizione dei tre partiti che sostengono il governo Scholz registra praticamente lo stesso consenso (31%) della sola Cdu-Csu. Il secondo le elezioni anticipate le ha invece convocate direttamente lui ieri sera. Le proiezioni erano d'altra parte implacabili: il Rassemblment national di Marine Le Pen al 33-34% con Renaissance fermo al 14-15%. In Francia si voterà per le legislative il 30 giugno. E non è affatto detto che questo non incida sulla tempistica per l'elezione del presidente della Commissione, che a questo punto rischia di slittare a settembre. Con un dettaglio: sia Macron che Scholz si siederebbero al tavolo in un clima da campagna elettorale e questo potrebbe irrigidire le posizioni. Non è un caso che all'invito del presidente del Ppe, Manfred Weber, affinché S&D e Renew partecipino a una nuova «alleanza pro-Ue» riconfermando von der Leyen, ieri sia seguita una risposta freddina del vicepresidente dei socialisti, Pedro Marques, che ha ribadito di non volere nessuno «accordo» con Ecr e Id. Poi, ci mancherebbe, siamo ancora alla tattica. Perché von der Leyen punta alla «maggioranza Ursula» con un sostegno «discreto» di pezzi di Ecr per compensare i franchi tiratori ed essere sicura di arrivare a quei 361 seggi su 720 che valgono la rielezione. Peraltro, nel segreto dell'urna e visto l'ottimo rapporto personale, sarebbe strano che Giorgia Meloni (che pare intenzionata a tenere la carica di presidente di Ecr per farla valere nelle imminenti trattative per i top jobs europei) non le desse una mano.

Di certo, c'è che perde terreno l'asse pro Ucraina (Parigi-Berlino) e ne guadagna la destra. In Austria vince FPÖ (che con gli estoni di Eesti hanno votato contro l'espulsione di Afd da Id), in Grecia è avanti Nuova democrazia del premier Kyriakos Mitsotakis, in Spagna Vox è la terza forza con il 9,6%. Al netto del voto one shot per la Commissione, tutto questo peserà sulla prossima legislatura Ue.

Basti pensare che il Ppe nel suo manifesto approvato a Bucarest meno di un mese fa ha sostenuto con forza il «modello Ruanda» sull'immigrazione, il «no» al Green deal e un cambio di rotta sulla Pac, la politica agricola comune che impegna circa un terzo del budget Ue.

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