Il Pd è sprofondato nella balcanizzazione: il Colle, per il Nazareno, resta un rebus che ognuno tenta di risolvere con ricette personali o quasi. E da Renzi arriva ai dem l'altolà sull'ipotesi Aventino: «Disertare la quarta votazione per il Capo dello Stato se il centrodestra decide di presentare la candidatura Berlusconi può essere rischioso».
E dunque il Pd, un partito di governo che può godere del primo posto nei sondaggi dovrebbe quantomeno fornire un'immagine esterna di compattezza: i Dem, sul Quirinale, sono tutto fuorché uniti e non fanno nulla per nascondere la pluralità delle visioni. Enrico Letta, che sogna Palazzo Chigi, vorrebbe puntare sul trasloco al Quirinale di Mario Draghi, mentre il correntone di Base riformista, che può contare sulla maggioranza dei parlamentari tra gli iscritti al Pd e che ha paura del voto per via della provenienza renziana di molti esponenti (la nuova dirigenza non vede l'ora di modificare i pesi ed i contrappesi della rappresentanza), vuole il Mattarella bis per blindare la legislatura ed evitare le urne anticipate. Stefano Ceccanti spinge da settimane per la conferma del capo dello Stato ed Andrea Romano ha ribadito qualche giorno fa di confidare in un ripensamento di Mattarella. Il leader dei «Giovani turchi» Matteo Orfini ha persino ipotizzato che l'attuale presidente della Repubblica possa essere votato «contro la sua volontà». Poi c'è chi si nasconde o temporeggia: la Madia, la Fedeli, la Morani e la Cirinnà, rispondendo sul futuro del Quirinale al Corriere della Sera, hanno parlato di metodo o di tempistiche ma non di nominativi. Una costante, a ben vedere, c'è: il presidente del Consiglio non sembra proprio figurare tra le preferenze dei grandi elettori Dem. Gli stessi che appaiono invece orientati su molteplici altre direzioni, con tutto quello che ne può conseguire in termini di franchi tiratori.
Poi c'è il contorno, ossia coloro che potrebbero rientrare a breve nella formazione politica guidata da Enrico Letta e che, pur agendo da spazi limitrofi, continuano a giocare un ruolo rispetto alle strategie ed agli umori. Dalle pagine del Manifesto, Massimo D'Alema ha fatto sapere d'intravedere «nel draghismo» un'«esplosione di spirito antidemocratico» e che bisognerebbe «avanzare ipotesi di candidature femminili». Tradotto: per far sì che Articolo Uno e la sinistra tutta rientrino nel Pd, bisogna che Mario Draghi non venga preso in considerazione per il Colle. Sulla stessa lunghezza d'onda si è posto Pierluigi Bersani, affermando al quotidiano diretto da Luciano Fontana che andrebbe cercata «un'alternativa» a Draghi.
Se tutto questo non bastasse e tornando al caos persistente nel Pd, potrebbe essere sottolineata la linea del ministro Dario Franceschini che - fanno sapere al Giornale fonti del Nazareno - non si sbilancia per un motivo preciso: «Sta giocando la sua partita su tutte le ruote», ci sussurrano. Una balcanizzazione in pieno stile, come premesso, che coinvolge variabili endogene ed esogene ma che presenta un punto fisso: il Pd, in questa fase, sembra il peggior alleato delle ambizioni quirinalizie di Draghi.
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