Report spara su Gucci «Borse fatte da cinesi» La maison: «Falsità»

Dopo Moncler e Prada, nel mirino della Gabanelli finisce l'azienda toscana Che ribatte: «Noi difendiamo il made in Italy»

Dopo aver «spiumato» Moncler, Report torna all'attacco della moda italiana, e spara a zero sulla maison Gucci. Secondo quanto denunciato dalla trasmissione di Milena Gabanelli, nella filiera toscana del marchio della doppia G non vengono utilizzati solo artigiani in regola, ma anche lavoratori cinesi sottopagati. «Tutto ciò è falso e diffamatorio, noi difendiamo il made in Italy», replica la Maison che da anni è controllata dal colosso francese del lusso Kering, rivale di Lvmh, ma produce il 100% della pelletteria nel nostro Paese, dando lavoro a oltre 7mila addetti, tra fornitori di primo e secondo livello, per il 90% italiani.

Report ha intervistato, appunto, un subfornitore italiano di Gucci, Aroldo Guidotti, secondo il quale gruppi di lavoratori cinesi - assunti per quattro ore e coperti da prestanome - arriverebbero a lavorare fino a 14 ore al giorno, permettendo un taglio dei costi che di fatto taglia fuori la concorrenza degli artigiani toscani, nell'indifferenza di chi dovrebbe controllare e sanzionare. E dopo di lui ha parlato un cinese, presentato come il «socio occulto» dell'artigiano italiano.

La Maison contrattacca: «Accordarsi a insaputa di Gucci con laboratori che utilizzano manodopera cinese a basso costo e non in regola - sabotando i sistemi di controllo in essere - è una truffa dalla quale Gucci si dissocia e che perseguirà in tutte le sedi, impegnandosi a rendere sempre più efficaci le azioni conseguenti alle ispezioni, che saranno sempre più numerose». E ricorda che proprio all'azienda di Guidotti, Mondo Libero, era stato chiesto da Gucci di sanare irregolarità relative al personale, emerse a seguito di controlli, e che questi aveva risolto il problema. L''azienda inoltre si dissocia «nel modo più assoluto» dai contenuti e dalla forma del servizio: la trasmissione condotta da Milena Gabanelli «non ha mai posto a Gucci alcuna domanda pertinente su quanto da cinque mesi stava girando. Telecamere nascoste o utilizzate in maniera inappropriata, solo in aziende selezionate ad arte da Report (tre laboratori su 576), non sono testimonianza della realtà Gucci». La Gabanelli insiste:«Più che dissociarsi Gucci dovrebbe ringraziarci, per aver documentato e denunciato quello che avrebbero dovuto fare i loro ispettori».

Ma l'azienda replica punto per punto: tutti i fornitori di primo e di secondo livello «vengono regolarmente controllati (circa 1.300 verifiche l'anno, anche notturne) sul rispetto delle regole e il corretto trattamento delle persone». C'è poi, come già per i piumini Moncler, la questione prezzi: gonfiati ad arte, secondo Report, che fa l'esempio di una borsa pagata 24 euro all'artigiano e venduta in boutique a oltre 800 euro. Comparazione errata, ribatte Gucci: «i 24 euro citati dal servizio si riferiscono solo all'assemblaggio parziale, e non non considerano minimamente, ad esempio, il costo della pelle, il costo del taglio, quello degli accessori, il confezionamento, la spedizione e tutto quanto necessario a rendere la borsa disponibile in negozio, fattori che moltiplicano fino a 25 volte quel numero».

A differenza di Moncler, comunque, il titolo di Kering non ha subito alcun danno: alla Borsa di Parigi ha guadagnato lo 0,84 per cento. Ma anche questo servizio di Report è rimbalzato sui social network, con «cinguettii» pro e contro l'azienda. In difesa della maison si schiera il governatore della Toscana, Enrico Rossi: «È uno scandalo che si dica “Toscana zona franca“» ha twittato. «Report non sa di cosa parla - ha scritto ancora - La Regione Toscana controlla a Prato 10 aziende cinesi al giorno, e Gucci è un'azienda seria».

Sulla stessa linea, Franco Baccani, presidente sezione Pelletteria di Confindustria Firenze: «Gucci opera da sempre per promuovere la legalità e la trasparenza della filiera in questo territorio. No a facili sensazionalismi he mettono a repentaglio il Made in Italy».

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