Doveva essere una Repubblica (democratica) fondata sul lavoro. Col tempo, però, il nostro Paese sembra somigliare sempre più a una Repubblica fondata sullo sciopero. In un anno (il 2021) ce ne sono stati un migliaio. Conti alla mano, più o meno tre al giorno (in un periodo, peraltro, di restrizioni covid). Ed è, oltretutto, un fenomeno - quello degli scioperi - in crescita se si mettono a confronto i numeri del 2021 con quelli dell'anno precedente. I dati sono stati raccolti dall'ufficio dell'Autorità di garanzia sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali e presentati alla Camera dei deputati dal suo presidente Giuseppe Santoro-Passarelli. Nel 2021 - si legge nella relazione - si sono registrati 1.009 scioperi, rispetto agli 894 dell'anno precedente. I settori più conflittuali sono quelli del trasporto pubblico locale, dell'igiene ambientale e del trasporto aereo mentre si sono ridotte le proteste nell'industria. Più che raddoppiati gli scioperi generali nazionali che passano dagli 8 del 2020 ai 21 dello scorso anno (18 in realtà perché per tre di questi è arrivata la revoca). Colpisce un dato singolare. Soltanto uno dei 21 è stato proclamato da Cgil e Uil (il 16 dicembre scorso). «Tutti gli altri - spiega Santoro-Passarelli - sono stati proclamati da sindacati di base, non adeguatamente presenti nei vari settori produttivi, con motivazioni politiche e/o economiche spesso generiche e con livelli di adesione del tutto irrilevanti».
La ripresa della conflittualità corre dunque parallela con la ripresa delle attività produttive dopo la doccia fredda provocata dal lockdown del 2020. Nella sua relazione Santoro-Passarelli evidenza un dato che costituisce un campanello d'allarme. «Ci sono - sottolinea - oltre 900 tipologie di contratti collettivi i quali, insieme allo strumento del subappalto al ribasso, generano fenomeni di dumping contrattuale (abbattimento dei costi della sicurezza dei lavoratori e della tutela ambientale per restare competitivi, ndr). Una proliferazione che comporta mutamenti dei minimi retributivi, a seguito di diversi inquadramenti, anche nell'ambito di una stessa azienda». Tra le cause di insorgenza del conflitto l'Autorità rileva il ritardo nel pagamento delle retribuzioni ai lavoratori, causato spesso dalla mancata erogazione, da parte dell'ente pubblico committente, delle risorse finanziarie necessarie all'appaltatore per erogare il servizio. L'Autorità è intervenuta su 272 proclamazioni di sciopero, con indicazioni preventive per segnalare delle irregolarità. Indicazioni che hanno avuto un riscontro pari al 97%, con la revoca o l'adeguamento.
Un altro dato messo in evidenza è il numero «ancora rilevante» di scioperi nei servizi pubblici («pur se inferiore a quello degli anni precedenti la pandemia»). Se le grandi sigle sindacali scioperano raramente («e solo al termine di grandi vertenze, dimostrando così la loro capacità di mantenere il conflitto sul piano del confronto negoziale»), sono, invece, i sindacati meno strutturati e con un insediamento ridotto nelle varie categorie produttive che «ricorrono, in modo reiterato, allo sciopero, anche in funzione di autolegittimazione».
Il garante evidenza infine un problema negli inutili allarmismi o «effetti annuncio», di fronte ad astensioni proclamate «da organizzazioni non adeguatamente presenti nei servizi interessati e che avranno adesioni del tutto irrisorie e senza arrecare un vero pregiudizio all'erogazione degli stessi».
Da qui l'idea di un sistema di «bollinatura» graduato con differenti colori col quale l'Autorità indicherà ai media l'impatto presumibile di uno sciopero, «sulla base di una valutazione preventiva basata sulla consistenza di precedenti astensioni effettuate da quella determinata organizzazione sindacale».
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