La legge è uguale per tutti. Il codice della strada anche. C'è voluta una sentenza per ricordarlo a Luciano D'Alfonso. In campagna elettorale il governatore abruzzese (uomo forte del Pd) s'era inventato uno slogan, «Abruzzo veloce», poi incarnato al volante dai suoi autisti a elezioni vinte. Credevano che il nuovo incarico del capo valesse a rendere impotenti gli autovelox. E invece no. Clementina Settevendemie, giudice di pace in quel di Chieti, l'ha messo nero su bianco, rigettando il ricorso contro un multone rimediato otto mesi fa.
Era il 23 dicembre: l'auto blu con a bordo il presidentissimo viene immortalata sull'asse attrezzato di San Giovanni Teatino mentre sfreccia a 136 km/h in un tratto dove non si potrebbe andare a più di 90. Riconoscere l'errore e pagare il dovuto come tutti, una volta ricevuta la contestazione? Nemmeno per sogno. Meglio presentare opposizione. Come del resto già accaduto nell'agosto del 2014. In quell'occasione il macchinone presidenziale era stato sorpreso a correre sull'A25, diretto al ministero dello Sviluppo per una riunione. Tanto importante da indurre la Regione a impugnare il contestato eccesso di velocità, ovviamente a spese degli abruzzesi. Un copione dunque consolidato, replicato con scarso successo. L'inflessibile Clementina Settevendemie ha smontato la tesi prospettata dai legali del ricorrente con l'avallo di big Luciano: annullare il verbale per essere stata commessa la violazione nell'adempimento di un dovere «dal momento che l'autovettura era in uso al presidente della giunta regionale».
Circostanza vera ma conclusioni errate, per il giudice di pace: «Nessuna norma prevede che l'espletamento di compiti indifferibili e urgenti di una carica istituzionale sia prevalente rispetto alle limitazioni previste dal codice della strada». Anche perché, in caso contrario, «si darebbe luogo ad una sorta di impunità invocabile con il semplice espletamento di compiti istituzionali». Vale per tutti. Persino per D'Alfonso e i suoi autisti.
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