Il ritorno alla normalità tra colleghi e scrivanie

Le attività a distanza hanno molti vantaggi, ma le città vivono di chi si muove per lavoro

Il ritorno alla normalità tra colleghi e scrivanie

Sì, l'Italia è ancora una repubblica fondata sul lavoro. Non sul divano, non su Zoom, non sul preventivo preparato sul pc mentre sul fuoco sobbolle il ragù. Sul lavoro. Quella cosa, spieghiamo per chi non lo sapesse, che tu fondamentalmente esci di casa per fare cose che qualcuno è disposto a pagare per farti fare, pensa tu. E che certo, in molti casi puoi anche fare in casa, ma credeteci, fatte nel posto costruito per ospitare quelli che fanno quella cosa, vengono meglio. Tutti noi siamo fondati sul lavoro. Articolo uno della Costituzione italiana e dello statuto personale della gran parte di noi. Sul lavoro edifichiamo la nostra storia, la nostra dignità, la nostra libertà. Salvo eccezioni, naturalmente, ma quelle non ci interessano.

E quindi se il lavoro ha la sua centralità, orsù, andiamoci. Usciamo di casa, mettiamoci le scarpe abbandonando le pantofole (orrore!) e i calzini antisdrucciolo (superorrore!), affrontiamo il caldo quando fa caldo e il freddo quando fa freddo e naturalmente la pioggia se piove, che capita. Sfidiamo la calca, la mascherina che ci fa sudare, la metropolitana, il parcheggio che non si trova. Facciamo come Superman, nascondiamoci nella nostra cabina del telefono privata e trasformiamoci nei supereroi dell'orario continuato, quelli che danno un bacio ai pupi la mattina ed escono eroicamente a conquistare il cibo per il proprio branco, maschi e femmine alfa con la schiscetta e il gel per le mani in saccoccia.

Sono dalla parte del sindaco di Milano Beppe Sala. Il ritorno alla normalità passa per la riapertura degli uffici. Le città sono il motore del mondo e i pistoni sono i lavoratori che girano per le sue strade, imbruttiti e nervosi, che vanno alle riunioni, prendono il caffè nei bar, fanno le pause pranzo senza staccarsi dallo smartphone. I lavoratori fanno girare il mondo e fanno girare le città. E quindi Milano.

Ecco, Milano. L'ho vista nei giorni del lockdown, perché sono tra coloro che non hanno mai smesso di andare in ufficio (il mio si chiama redazione e alla fine ci sono anche affezionato) e percorrevo questa metropoli più vuota di un quadro di De Chirico e francamente non mi piaceva. Le strade erano posti inospitali, i bar erano chiusi, nel metrò i pochi occhi che sbucavano dalle mascherine mi guatavano con paura e sospetto. C'era un certo perverso piacere a sentirmi un esploratore di un mondo post-atomico, lo ammetto. Ma Milano non è fatta per essere uno scenario di cartone abitata da gente che produce dietro le tapparelle e a piedi scalzi. Non è per questo che l'ho scelta come mia città.

Lo smart working ha un sacco di vantaggi e lo so, non state a elencarmeli, non ho tempo

da perdere, sono in redazione e lavoro. Lo smart working è il futuro, è sostenibile, è pet-friendly e child-friendly, riduce le emissioni di CO2. Ma la cosa che più ci piace dello smart working è che si può anche non fare.

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