«Non ho mai chiesto alcun dossier» a Enrico Pazzali e «i pm ne hanno preso atto». Nella mattinata di ieri la vicepresidente del Senato Licia Ronzulli si è presentata al quarto piano del Palazzo di giustizia milanese per essere ascoltata come persona informata sui fatti dai magistrati che indagano sulla presunta rete di cyber spie scoperta dalla Dda di Milano e dalla Dna. È stata la senatrice di Forza Italia a chiedere un colloquio in Procura, dopo essere stata «tirata in ballo» e definita «spiona» - le sue parole - da alcuni giornali. Ronzulli è rimasta per circa due ore nella stanza del procuratore Marcello Viola e all'uscita ha risposto ai cronisti. «La vicenda emersa dalle indagini - ha sottolineato -? È un verminaio inqualificabile e credo che bisognerà fare qualcosa dal punto di vista legislativo».
Aggiunge poi Ronzulli al Giornale: «Lasciatemi dire qualche parola sul perché il nome mio e di questa professionista in questi giorni sono stati dati in pasto ai giornali, e quindi all'opinione pubblica, senza alcuno scrupolo. Trovo inaccettabile che nomi di terze persone non indagate e totalmente estranee alle indagini vengano prima riportati dagli investigatori nelle carte dell'inchiesta e quindi, attraverso un metodo ormai ben preciso, finiscano ancora su tutti i giornali, senza alcuna verifica. Tanto più che il disegno di legge Nordio entrato in vigore il 25 agosto scorso impedisce che nella richiesta di custodia cautelare vengano riportati dati personali di terze persone estranee alle indagini. Ma alla prova dei fatti la norma come vedete si è rivelata abbastanza insufficiente. Credo che la norma vada rivista o vadano messe sanzioni. Non tutti i cittadini hanno la possibilità che ho io di essere qui a esporre la verità per non finire nel tritacarne, come ci sono finita io». E ancora: «Per quanto riguarda quanto sta emergendo dall'inchiesta, e purtroppo anche da altre, è un inquietante verminaio. Un attentato alla sicurezza dello Stato, che, attraverso sistemi informatici sofisticati, e una rete di protezione troppo vulnerabile ad ogni livello, rischia troppo spesso di essere oggetto di cyber attacchi contro dati sensibili. Dobbiamo trovare ogni strumento utile, legislativo ma anche tecnologico, per mettere in sicurezza i sistemi informatici, a maggior ragione con l'espandersi sempre più invasivo dell'Intelligenza artificiale».
Licia Ronzulli non è indagata nella vicenda dei dossieraggi. Il nome della senatrice di Fi compare in una intercettazione agli atti dell'inchiesta. La volontà della senatrice era di chiarire, a verbale davanti ai pm, la propria estraneità alla ricerca di dati relativi a una manager, di cui parla Pazzali in una conversazione intercettata dai carabinieri. «Dopo aver letto le ricostruzioni giornalistiche in cui venivo coinvolta, seppur da non indagata, nell'inchiesta sui dossieraggi - ha detto ancora Ronzulli ieri al Palagiustizia - ho chiesto subito ai pm di potermi ascoltare e li ringrazio per averlo fatto nel più breve tempo possibile. La Procura già aveva inteso e oggi ha preso definitivamente atto che non ho mai fatto richiesta di alcun dossier a Pazzali». Ancora: «Ho chiesto di essere ascoltata per sgomberare il tavolo da ricostruzioni fantasiose, allusioni e tesi che mi vedrebbero accostata ai cosiddetti spioni, questo è totalmente falso. Ho raccontato come sono andati i fatti, spiegando chiaramente che non ho mai commissionato a Pazzali alcun controllo su una professionista». Le ricostruzioni pubblicare «sono false e totalmente infondate.
In primis perché ciò presupporrebbe che io fossi stata a conoscenza che Pazzali avesse un'agenzia investigativa, quando invece ho scoperto tutto dai media, in secondo luogo perché non avrei avuto alcun motivo di chiedere informazioni su una professionista che stimo e che conosco da tantissimi anni». Infine: «Chiunque in questi giorni mi abbia definito spiona o cliente di Pazzali ne risponderà in Tribunale a tutela della mia immagine, della mia integrità e del mio onore».
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