In Russia addio auto: per le sanzioni chiudono le fabbriche

Produzione crollata del 97%. Per Gazprom niente dividendi, il titolo precipita (-30%)

In Russia addio auto: per le sanzioni  chiudono le fabbriche

Due fabbriche su 20 rimaste aperte, 3.700 vetture prodotte nel mese di maggio, il 97% in meno dell'anno scorso (erano più di 108mila in febbraio). Secondo i dati dell'Istituto ufficiale di statistica Rossat le sanzioni contro la Russia iniziano a mordere. E uno dei settori più connessi all'economia globale, quello automobilistico, si avvicina a grandi passi alla paralisi. Le vendite di Lada, il modello più popolare, sono crollate dell'84%, in compenso i prezzi sono saliti del 30%. Non solo. I camion usciti dalle catene di montaggio sono diminuiti del 40%, del 60% i frigoriferi, le lavatrici, le locomotive.

Sulla tenuta dell'economia russa si è ormai acceso un dibattito dottrinale: non ci sono segnali di panico finanziario e il rublo, anzichè perdere valore, si è rivalutato (anche perchè ormai non c'è un mercato su cui scambiarlo). Le crepe, però, si fanno più evidenti. Ieri per la Borsa di Mosca è stato un giorno difficile. Gazprom ha annunciato che non distribuirà dividendi per il 2021, lo stesso ha fatto la prima banca del Paese, Sberbank. Il colosso del gas ha perso il 30% del suo valore.

Il futuro dipende da una parola sola che a Mosca è ormai entrata nel gergo politico-economico: «sostituzione». Riuscirà l'economia russa a «rimpiazzare» le mancate importazioni dai Paesi occidentali? Il tema è così presente nel dibattito pubblico che nel corso del recente summit economico di San Pietroburgo, Margarita Simonyan, direttrice dell'ex Russia Today (oggi Rt), tra le più note propagandiste del regime, ha mostrato a Putin una confezione di succo di frutta dal look vagamente anni Cinquanta: «Mancano l'inchiostro per la stampa e le macchine per renderla più moderna. Riusciremo a farcela?», ha chiesto. Putin ha tagliato corto esprimendo certezze, per poi concentrarsi sui suoi temi preferiti: la storia e l'identità russe.

Il problema è che le certezze del presidente non sono condivise dalla gran parte degli economisti del Paese. E capita perfino che membri autorevoli del suo partito, come Andrey Klishas, senatore e presidente del Comitato per la legislazione costituzionale, si lascino sfuggire l'indicibile: «Il programma di sostituzione delle importazioni è un completo fallimento». Una docente di geografia economica dell'Università statale di Mosca, Natalya Zubarevich, è diventata popolare su Youtube, per la semplicità (e il coraggio) con cui esprime le sue tesi: finite le scorte, già nei prossimi mesi, le sanzioni finiranno per paralizzare l'economia reale, che non è in grado di «sostituire» i prodotti tecnologici che contano, nemmeno con le importazioni parallele attraverso accomodanti Paesi terzi. Nel 2021 la percentuale di medicine comprate all'estero è stata del 67% e anche per quelle prodotte in Russia, ha scritto Kseniya Kirillova, ricercatrice del Cepa di Washington, «gran parte delle componenti e dei macchinari di produzione sono occidentali». La situazione non è diversa negli altri settori. «La Russia», diceva il senatore repubblicano John McCain, sfidante di Obama nel 2008, «è un distributore di gas e benzina che fa finta di avere un'economia».

La dipendenza tecnologica arriva al punto che, secondo un altro report del già citato Cepa, perfino i missili russi Iskander, hanno usato fino al 2017 componenti elettronici fabbricati in America. E le difficoltà nell'approvvigionare di armi sofisticate l'esercito russo sarebbe legata proprio all'incapacità di produrre le parti hi-tech in quantità significative.

Armi a parte, l'andamento del prodotto interno di maggio reso noto ieri era pari a -4,3%. Le previsioni per la fine dell'anno vanno dal -7,8% della banca centrale russa al -15% dell'IIf (Institute of International finance). Ma c'è chi si spinge a prevedere un doloroso -30%.

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