Sbarca la paura di Ebola. Prima sospetta in Italia, ma è un falso allarme

Nelle Marche una paziente nigeriana ha febbre e vomito:era appena rientrata da un viaggio nel Paese d'origine. Oggi l'esito dei test, per i medici è malaria

Sbarca la paura di Ebola. Prima sospetta in Italia, ma è un falso allarme

Ha la febbre, il vomito, la nausea, le fanno male le articolazioni. Sarebbero i sintomi classici di una influenza intestinale, una pratica da codice verde per il triage del piccolo ospedale di Civitanova Marche nell'anidirivieni di pazienti di ieri notte. Se non fosse che l'infermiere addetto allo smistamento si sente snocciolare una serie di altri indizi che fanno scattare immediatamente la procedura d'emergenza: prima lì, al pronto soccorso, poi in tutto l'ospedale e in tutta la Regione. Nel giro di poche decine di minuti sono le strutture centrali del sistema sanitario nazionale a dare il via alla rete d'allarme che da settimane vigila sui rischi di sbarco in Italia del virus killer chiamato Ebola. Poi in serata le «rassicurazioni» dei medici: si tratta di malaria. Ma per escludere la presenza anche di Ebola bisognerà aspettare oggi i risultati dei test.

Già in agosto, a Gallarate, era stato segnalato un caso sospetto: ma la cosa era passata quasi sotto silenzio, e anche in quel caso si era scoperto alla fine che si trattava di malaria. Invece ieri la notizia da Civitanova finisce sul web prima ancora che il ministero abbia pronto un comunicato, con la conseguenza che sia i vertici degli ospedali coinvolti che i politici locali si trovano costretti a intervenire per evitare il panico. La linea compatta è: né allarmismi né minimizzazioni, la paziente è isolata e non può contagiare nessuno, entro le prossime ore arriveranno le analisi e sapremo se siamo davvero nei guai e dobbiamo cominciare ad andare a cercare tutti gli sfortunati che nei giorni scorsi hanno avuto contatti con la donna.

Tutto inizia nella notte tra domenica e lunedì, quando in un appartamento di Civitanova Alta una donna inizia a stare male. Ha quarantadue anni, è nigeriana, da tempo vive in Italia: però (e qui sta il problema) è tornata sei giorni fa da un viaggio in patria. E la Nigeria è uno dei quattro paesi africani dove il virus sta mietendo morti, anche se la situazione è meno critica che in Liberia e Sierra Leone. La donna alle tre di notte chiama un'ambulanza, viene portata al pronto soccorso. E qui bastano pochi minuti per capire che non la si può trattare come un qualunque codice verde. Più dei sintomi - la febbre poco sopra i 38 - ad allarmare è il viaggio recente in Nigeria, dove la donna si sarebbe sottoposta a un intervento chirurgico. E che negli ambienti sanitari i rischi di trasmissione siano più alti è dimostrato dalle tante morti di operatori sanitari nelle zone dei focolai.

Così ieri mattina a Civitanova scatta il protocollo d'allarme. Senza clamori, in silenzio. Di quanto sta accadendo si accorgono, in pratica, solo un pugno di medici e infermieri. E.L. viene subito isolata, poi la direzione sanitaria d'intesa con la Regione dispone che venga caricata in ambulanza, con misure di sicurezza straordinarie, e trasferita all'ospedale Torretta di Ancona, al centro Malattie infettive e immunodepressi. Vengono prelevati i campioni di sangue e trasportati d'urgenza allo Spallanzani di Roma, che ospita il centro nazionale di monitoraggio su Ebola.

Ieri pomeriggio i vertici dell'ospedale fanno sapere che la donna «è tranquilla», e «non ha emorragie»: è un dettaglio importante perché il sangue e gli altri fluidi corporei sono il veicolo principale di contagio. E anche il fatto che la possibile «paziente zero» viva da sola, che non ci sia un nucleo familiare che possa essere stato infettato, è un dato positivo, in attesa che dallo Spallanzani oggi arrivino notizie definitive.

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