Lo scambio che umilia Mosca. Liberati i "nazisti" dell'Azov

L'accordo: tornano a Kiev 205 soldati del battaglione. In Russia l'oligarca Medvedchuk, amico di Putin e Trump

Lo scambio che umilia Mosca. Liberati i "nazisti" dell'Azov

Per il presidente della Duma Vyacheslav Volodin gli uomini del battaglione ucraino Azov erano semplici «criminali nazisti» che meritavano un processo immediato ed esemplare. E ai tempi della loro cattura, alla caduta di Mariupol, i politici russi avevano fatto a gara nel chiedere pene severe fino alla morte. Sono passati pochi mesi e i «nazisti» dell'Azov sono già tutti casa. Tutti salvo cinque, i capi, che in base all'accordo mediato dal presidente Recep Tayyp Erdogan, dovranno rimanere in Turchia (in libertà e con ogni possibilità di frequentare le famiglie) fino alla fine della guerra. Tra loro due nomi ormai leggendari in Ucraina, il comandante Denys Prokopenko (nome di battaglia Redis) e il vice Svaytoslav Palamar (Kalyna).

È il frutto dello scambio di prigionieri più clamoroso mai avvenuto tra Mosca e Kiev. Da una parte 215 soldati di reparti ucraini (ci sono anche 10 foreign fighters, tra cui 5 britannici e 2 americani); dall'altra 55 militari russi, anche loro già arrivati in patria. Questi almeno sono i termini dello scambio secondo il comunicato ufficiale del Ministero della difesa russo. Che ha dimenticato di citare solo un nome (reso noto nella notte di ieri dal governo di Kiev), quello, però più importante, il perno intorno a cui ha girato tutta la trattativa: Viktor Medvedchuk, oligarca ucraino, amico personale di Vladimir Putin, arrestato dal governo di Volodymyr Zelensky poche settimane dopo l'inizio della guerra.

La dimenticanza è il segnale dell'imbarazzo con cui le autorità di Mosca hanno dovuto gestire un accordo che agli occhi dei nazionalisti russi è impresentabile. Ieri i canali Telegram locali ribollivano di indignazione. «Che cosa ci avevano detto due mesi fa? Che non li avrebbero mai liberati» scriveva Grey Zone, considerato vicino al Gruppo di mercenari Wagner. Igor Girkin, ex colonnello del Fsb ed ex capo delle milizie del Donbass era ancora più chiaro: «È peggio di un crimine e di un errore, è stupidità pura». Altri blogger parlavano di sabotaggio, mentre Denis Pushilin, leader della Repubblica di Donetsk, ha detto di capire chi considerava l'intesa «ambigua».

Liberare i «nazisti», contro i quali la guerra è iniziata, appare già difficilmente giustificabile agli occhi dell'opinione pubblica. Se poi la liberazione avviene in cambio del miliardario amico di Putin si rischia davvero il corto-circuito propagandistico. Ma con tuta evidenza, almeno a giudicare dal prezzo pagato per liberarlo Medvedchuck è una pedina per Putin troppo importante. Non solo per i rapporti personali (il leader russo è stato padrino di sua figlia) ma soprattutto per i suoi legami politici e affaristici. Per anni è stato il pro-console del Cremlino in terra ucraina, ma soprattutto ha accumulato una fortuna facendo da mediatore in campo energetico nelle compravendite di gas verso l'Ucraina e l'Europa, uno dei pilastri dell'economia clientelare su cui Putin ha costruoto il suo potere. Non solo. L'oligarca è stato coinvolto anche nelle inchieste americane sulle ingerenze del Cremlino nelle elezioni del 2016. Il businessman era tra i clienti di Paul Manafort, che aveva fatto da consulente ad alcuni politici locali, prima di diventare responsabile della campagna elettorale di Donald Trump. Negli atti dell'Fbi, segnala la stampa Usa, figurano molte telefonate tra uomini vicini a Trump e lo stesso Medvedchuck.

Insomma, il miliardario è con tutta probabilità depositario di molte verità e di molti

segreti. E anche per questo Andrij Yermack , uno degli uomni più vicini a Zelensky, ha sentito il bisogno di giustificarsi: «Era uno scambio che valeva la pena fare». E Medvedchuck «ha già detto tutto quello che sapeva».

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