La scelta della Meloni: non con Donald ma con i Repubblicani

La leader Fdi legata alla liberaldemocrazia L'avversario non è nemico. E scrive a Biden

La scelta della Meloni: non con Donald ma con i Repubblicani

L'America non è mai troppo lontana. Qui, nella provincia dell'Occidente, ci si sveglia con un'aria un po' disorientata. Non è facile fare i conti con quello che è successo a Washington. È come se fosse caduto un muro. È ormai chiaro che quel rumore di fondo che arrivava dalle fondamenta della democrazia non si può più nascondere. Qualcosa è successo e non era poi del tutto inatteso. La civiltà liberaldemocratica si regge da sempre su un equilibrio fragile e soffre la paura, la fine dei sogni, la povertà, le masse, la caduta delle élites, il tradimento dei chierici, la sfiducia e il rancore. Sono tutti ingredienti che in questi anni confusi circolano in abbondanza. Se poi il mondo si ritrova sotto vuoto per una pandemia basta una scintilla per vedere l'effetto che fa. È quello che sta succedendo.

Tutto questo interessa fino a un certo punto. Non è all'ordine del giorno. Si smania su altre domande. Il conto. Chi pagherà in Italia le colpe di Donald Trump? È la pausa per lasciarsi alle spalle il tormentone sulla crisi di governo. Quasi un sospiro di sollievo. Si può parlare di altro. Quello che serve adesso è un colpevole. Lo evoca Gad Lerner. Punta l'indice Matteo Renzi. Si fanno sentire, con tono indignato, i probiviri del Pd e poi altri e altri ancora. Riflettete. Pentitevi. Chiedete scusa. Il messaggio va verso destra.

Il peccato di Trump è chiaro. Non ha rispettato le regole del gioco. La democrazia, in particolare quella americana, si fonda su una pietra d'angolo: chi perde riconosce la sconfitta. Il presidente uscente l'ha fatta saltare. È un problema culturale e di carattere. Trump ha sempre faticato a incarnare il canone occidentale. La sua idea di «democrazia» tende a essere plebiscitaria. È appunto fuori canone. È più vicina a certe tentazioni di democrazia diretta o a una disfida continua per conquistare il consenso delle piazze, che in questa stagione sono per lo più virtuali. È lo scontro tra le platee dei social, dove ognuno cerca la legittimità a governare con un consenso «extraparlamentare». Non si accetta la sconfitta perché di fatto non si riconosce la legittimità politica dell'avversario. È un difetto non solo del trumpismo, ma che si ritrova purtroppo anche in una certa sinistra italiana. Cosa accadrà in Italia se alle prossime elezioni vincono gli altri? Che succede se vince la destra? Spunteranno tanti piccoli Trump.

Anche la destra però deve fare i conti con quello che sta accadendo. Il primo passo è stato riconoscere che l'atteggiamento di Trump corrode lo spirito della democrazia. Berlusconi, che non ha mai avuto molta simpatia per il presidente Usa, ha scritto: «Bisogna essere capaci di uscire di scena». Saper dire: ho perso. Salvini ha ricordato che la «violenza non è mai una risposta». Giorgia Meloni ha inviato un messaggio di auguri a Biden. Non per simpatia politica, ma perché figlia di quel canone occidentale che non considera l'avversario come un nemico. È lì la frontiera della democrazia. È il patto di legittimità che la tiene in piedi. A chi la accusa di «tentazioni trumpiste» lei ricorda il suo ruolo politico internazionale. È la presidente dei conservatori e riformisti europei, il terzo gruppo parlamentare a Strasburgo.

Non è per un'Europa centralizzata, ma sostiene con forza i valori della liberaldemocrazia. Gli alleati storici dei conservatori europei sono i repubblicani americani. La frattura tra Trump e il suo partito ormai è evidente. E se si chiede alla Meloni a chi si sente più vicina la risposta è Grand Old Party.

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