In una intervista rilasciata al Corriere della Sera, il vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura Fabio Pinelli ripropone il tema della interferenza dei magistrati nell'attività del Parlamento evidenziando che:
- la magistratura si è sovraccaricata l'onere della soluzione di molti conflitti interni alla società e che ha perso i luoghi di mediazione come partiti e sindacati;
- l'Associazione nazionale magistrati può dare un contributo tecnico e di competenza sulle norme in via di approvazione, non intaccando però le decisioni di competenza del Parlamento;
- è necessario il reciproco riconoscimento delle prerogative da parte di tutti i poteri dello Stato quale unica strada per evitare il conflitto tra politica e magistratura, che, viceversa, è destinato ad acuirsi se, da un lato, c'è l'ambizione di intervenire su scelte che spettano a chi rappresenta la volontà dei cittadini e, dall'altro, non si rispettano l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati.
Tali considerazioni offrono lo spunto per comprendere come (non) stiano funzionando i rapporti tra la gestione giudiziaria dei diritti fondamentali e le prerogative della rappresentanza politica su temi di stretta attualità, quali l'immigrazione, le intercettazioni, ma anche su altre questioni presenti nell'agenda politica come, ad esempio, l'abuso di ufficio e la separazione delle carriere.
Invero, il dibattito politico continua ad oscillare su due visioni opposte: da un lato chi, rispolverando una visione ottocentesca, considera il giudice bocca della legge, cioè un funzionario che meccanicamente deve applicare la norma; dall'altro chi, in ossequio alle moderne costituzioni, considera il giudice come un interprete che deve dare attuazione ai valori costituzionali di riferimento.
Eppure la nostra Costituzione definisce con puntualità l'ambito delle attribuzioni che sono affidate agli organi giudiziari, così come i compiti e le decisioni che appartengono, invece, ad altri organi in quanto titolari di altri poteri.
In particolare, con riferimento ai giudici, l'art. 106 della nostra Costituzione ha voluto una magistratura professionale la cui legittimazione democratica, a differenza della politica, deriva dalla comprensibilità delle sue decisioni e non dal consenso della piazza e quindi del popolo.
In tale ambito ed in tale contesto, cruciale importanza avrebbe dovuto svolgere il compito, a tratti disatteso, assegnato alla Corte di Cassazione, di assicurare l'uniforme interpretazione della legge al fine di promuovere la prevedibilità delle decisioni e, dunque, la loro comprensibilità. Ciò al pari dell'uso di un linguaggio consono e misurato che spesso appare latitare in numerosi provvedimenti giudiziari come, ad esempio, avvenuto nel caso del cittadino del Bangladesh accusato di aver picchiato la moglie.
In conclusione, la doverosa interpretazione e applicazione delle norme rivendicata a gran voce dalla magistratura deve essere tenuta ben distinta dalla pretesa giurisprudenziale di poterne disapplicare o crearne delle
nuove per soddisfare esigenze che non possono trovare riscontro nell'ambito della funzione giurisdizionale, ancor di più in quelle situazioni in cui risulta difficile rinvenire una puntuale e chiara disciplina normativa.
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