Il Paese «normale», secondo la sinistra, è quello dove la destra al governo non ha i requisiti morali e politici per guidare il Paese. Una sorta di peccato originale che non affonda le radici, secondo l'opposizione, soltanto nell'immaginario fascismo di ritorno, ma anche in una presunta inadeguatezza culturale nell'interpretare il ruolo pubblico. In questo contesto di faziosità militante, non stupisce l'imbarazzo in casa Pd per gli elogi pubblici che il governatore della Toscana Eugenio Giani ha riservato a uno dei «cinghialoni» nel mirino delle doppiette dem: Matteo Salvini.
Espressioni dubbiose e braccia allargate al Nazareno. Alla dirigenza, soprattutto quella più radicale legata al nuovo corso Schlein, risultano indigeste le testuali parole di Giani lunedì a Pisa: «Lo dico al ministro Salvini con grande rispetto, perché in questi sei mesi io di lui condivido e apprezzo quella logica del fare in cui mi ritrovo». E se il rispetto arriva da un presidente di Regione dal pedigree rosso, diventa poi difficile indicare il ministro delle Infrastrutture come un bersaglio da abbattere. Chi ha parlato ieri con il leader della Lega, lo ha visto soddisfatto del riconoscimento, quasi una medaglia da appuntare al petto come condivisione di un'azione di governo che sta coinvolgendo amministratori locali di ogni colore e grado.
È finito con il Papeete del 2019 il Salvini populista che portò una Lega sull'orlo dell'estinzione a sfondare la barriera del 30% con sfoggi muscolari sull'ordine pubblico e l'immigrazione clandestina. All'epoca la priorità del governo giallorosso fu addirittura «desalvinizzare» il Viminale con la Lamorgese. Le scampanellate agli spacciatori di quartiere sono state sostituite, dall'insediamento al ministero di Porta Pia, con un lavoro quotidiano sulla ruspa, questa volta ai comandi di quella vera che spiana i cantieri della nuova Italia.
Oggi nel governo di centrodestra, il vicepremier del Carroccio preferisce unire il territorio e presenziare ogni giorno a tavoli tecnici, sopralluoghi, consegna di cantieri. È la logica dell'«operaio» che lanciò in politica Silvio Berlusconi, nel ruolo del magnate che si trasformava in un premier dedito alle realizzazioni concrete come la gestione del terremoto dell'Aquila o l'emergenza rifiuti.
È un grande passo avanti nella normalizzazione dei rapporti tra maggioranza e opposizione trovare un'intesa almeno sulla «logica del fare». L'Italia ha bisogno di strade scorrevoli, viadotti sicuri, treni veloci, termovalorizzatori, gasdotti e rigassificatori. Lo sanno bene presidenti di Regione e sindaci alle prese con i problemi reali del mondo produttivo e della popolazione.
Il governatore Giani ha i capelli candidi e l'aspetto di una vecchio burosauro sovietico ma non è uno sprovveduto e più volte si è schierato sulla realizzazione delle grandi opere. In politica tutto è calcolo. E quindi tessere l'elogio pubblico a Salvini può essere letto come un messaggio di sveglia a Elly Schlein, la cui agenda ambientalista-grillina resta un desolante manifesto del «non fare».
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