Segre, ondata di insulti social per le frasi sul genocidio

La senatrice: "Parola ormai usata per tutto, io l'ho vissuto". Nuova tempesta di offese. E su Gaza la sinistra è dilaniata

Segre, ondata di insulti social per le frasi sul genocidio
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Le parole sono pietre, e su una parola come quella si può costruire la lapidazione di uno Stato, e di un popolo.

La parola del momento è «genocidio». Rimbalza da un social all'altro, da una piazza a un talk show. E Liliana Segre, senatrice a vita che certo non è una «ultrà» di Israele, si è sentita in dovere di frenare sull'uso di quella parola: «Adesso viene usata per parlare di qualsiasi cosa, di qualunque guerra, di qualunque battaglia, di qualunque presa di posizione» ha detto - lo ha riportato Il Corriere - nel corso di un evento al Memoriale della Shoah, a Milano, non senza ricordare che quella «parola» lei l'ha vista in faccia: «L'ho conosciuta e per miracolo mi ha risparmiata».

Incontestabile. Eppure per queste poche parole, la senatrice Segre è finita nel mirino dei soliti odiatori, che paiono molti sui social ma in realtà sono un'infima minoranza, che tuttavia si fa sentire con una gamma di reazioni che va dall'ironia agli insulti più beceri. D'altra parte, dopo le aggressioni verbali agli ebrei, le contestazioni al libro su Golda Meir, dopo gli stereotipi in tv e i vandalismi all'effigie di lord Balfour, l'ondata di odio contro la testimone vivente della Shoah purtroppo non è una sorpresa. La questione genocidio è un altro «zolfanello sotto l'antisemitismo che c'è da sempre», come dice Segre.

Ispirati all'istanza contro Israele presentata dal Sudafrica presso la Corte Onu, gli assertori del genocidio in atto hanno ritrovato quella parola nelle esortazioni cautelari che i giudici dell'Aia hanno rivolto allo Stato ebraico impegnato nell'intervento a Gaza.

E ora la parola dilaga. Scritta sugli striscioni nei cortei in cui risuonano grida antisemite e stampata nei documenti dei sindacati, campeggia nei profili instagram dei giovani palestinesi e viene rilanciata dagli esponenti delle sigle contigue ad Hamas in Europa.

La narrazione ostile a Israele, che si nutre di antisemitismo e lo alimenta, presuppone che sia in corso il genocidio del «popolo palestinese» - cioè degli arabi di Palestina - e di ciò accusa il «sionismo», deformato a sua volta in ideologia razzista. Ribalta, questa vulgata, un fatto storico incontestabile: che la settantennale guerra contro Israele è iniziata e prosegue per l'irriducibile rifiuto, da parte araba, di riconoscere l'esistenza dello Stato ebraico. E cancella, questa narrazione, le atrocità del 7 ottobre, perpetrate da un'organizzazione terroristica, Hamas, che nello statuto dichiara propositi genocidi nei confronti degli ebrei in quanto tali.

Lette le dichiarazioni della senatrice Segre dunque, nel mondo ebraico qualcuno ieri ha pensato: «Finalmente difende Israele!». Sì, perché l'equilibrio della senatrice, sulla guerra in corso, è stato davvero perfetto, e sentito. Stavolta Segre è sembrata voler arginare l'abuso della parola «genocidio». E lei sa cosa significa l'uso improprio delle parole (si era arrivati all'esito paradossale di chi paragonava il Green pass alla Shoah). E non è stata certo la prima, Segre, a frenare sull'abuso della parola genocidio. La sinistra è dilaniata.

Due giorni fa il consigliere di Milano Daniele Nahum ha lasciato il Pd per questa deriva, e pochi giorni prima il presidente dell'Anpi Milano, Robeerto Cenati, si è dimesso per un dissenso profondo sull'uso della parola genocidio nella manifestazione Anpi-Cgil del 9 marzo (che peraltro è stata un flop). Ieri lo stesso presidente dell'Anpi, il cossuttiano Gianfranco Pagliarulo ha ammesso che «impedire il genocidio» era uno slogan di «mediazione». Praticamente una via di mezzo fra chi sostiene che ci sia e chi lo nega.

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