Senza licenziare, pmi obbligate al fallimento

Per cercare di tirare avanti e nascondere la gravità della situazione economica, il governo Conte ha adottato la politica dei "blocchi"

Senza licenziare, pmi obbligate al fallimento

Per cercare di tirare avanti e nascondere la gravità della situazione economica, il governo Conte ha adottato la politica dei «blocchi». In Italia non si possono sfrattare gli inquilini morosi, non si può più fallire e, com'è noto, non si può certo licenziare. La conseguenza di tutto ciò è che si annuncia una tempesta perfetta, perché è impossibile continuare a buttare la polvere sotto il tappeto.

La maggioranza governativa pensa che sia possibile scaricare ogni problema sui proprietari e sulle imprese, facendo in modo che i dati ufficiali su chiusure e disoccupazione non mutino. Si tratta, ovviamente, del classico gioco delle tre carte. Per giunta, numerose aziende in difficoltà rischiano di fallire proprio perché in questa fase non possono licenziare e quindi si trovano a sostenere costi inadeguati.

Un esempio concreto: a Milano un'agenzia attiva nella comunicazione ha una trentina di dipendenti e una sessantina di eventi annullati già a febbraio. Se le fosse permesso di avviare una ristrutturazione, potrebbe immaginare un futuro diverso, anche se ancora non c'è alcuna prospettiva all'orizzonte e parte dello staff è in Cig da marzo scorso. Nel 2020 il fatturato è sceso del 64% e ora anche se tutto è fermo essa deve sostenere molti costi fissi, tra cui il Tfr per i lavoratori. È come se questo esecutivo non volesse prendere atto che esistono logiche economiche che non è agevole sovvertite con atti d'imperio. In una situazione di difficoltà generale, in tanti casi o si permette alle aziende di riformularsi in dimensioni più contenute, o se ne decreta la chiusura. Con una logica perversa, il governo invece che salvare posti di lavoro alla fine ne distrugge, dato che non riescono a resistere nemmeno le aziende che, se ridimensionate, potrebbero trovare un futuro, grazie a imprenditori capaci di cogliere qualche nuova opportunità.

Sarebbe stato assai meglio consentire i licenziamenti e permettere il salvataggio di numerose aziende, da un lato, e intervenire sugli ammortizzatori sociali, dall'altro. E se vi saranno soldi da spendere provenienti da Bruxelles, sarebbe saggio destinarli a favorire questa ristrutturazione industriale, che è ormai tanto doverosa e dolorosa quanto necessaria. Un anno fa le aziende in difficoltà hanno cercato di sopravvivere non rinnovando i contratti a termine e solo nel primo mese di lockdown 200mila lavoratori si sono trovati a casa.

Ora la crisi è più dura ed è necessario comprendere che l'ideologizzazione sindacalistica volta a ostacolare la perdita del posto ad alcuni (licenziamento) sta per produrre la perdita del posto di tutti (fallimento). Non è proprio così che si tutelano gli interessi dei lavoratori.

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