È l'uomo dell'arsenale atomico e delle nuove, modernizzate Forze Armate russe. Ma è anche una delle persone più vicine a Putin in queste settimane di guerra. Quando il presidente russo si fa fotografare a torso nudo nella foresta, o mentre pesca in qualche torrente selvaggio, molto spesso accanto a lui c'è Sergey Shoigu: oltre che ministro della Difesa è anche presidente della Società Geografica russa e i due condividono la passione per la vita all'aria aperta, oltre che per l'hockey.
A Putin ha regalato due operazioni militari che hanno raggiunto con precisione chirurgica gli obiettivi: la Crimea nel 2014 e la Siria negli anni successivi. Oggi gli analisti, impegnati ad interpretare la verticale del potere al Cremlino, lo considerano tra i pochi ancora in grado di farsi ascoltare da un leader sempre più isolato e diffidente. Ma se le operazioni in Ucraina dovessero trascinarsi ancora a lungo anche la sua posizione si farebbe delicata.
Shoigu, che ieri ha annunciato che le forze missilistiche e le flotte del Nord e del Pacifico sono entrate in allerta di combattimento rafforzata, è un esemplare unico nell'entourage putiniano: è al governo senza interruzioni dal 1991, più di 30 anni di navigazione impermeabili a ogni tempesta. Eppure non è di San Pietroburgo e non era nemmeno nel Kgb. Una mosca bianca.
Lui e Putin hanno iniziato a collaborare ai tempi della seconda guerra cecena nel 1999. L'attuale presidente, allora appena nominato primo ministro, faceva il poliziotto cattivo e giurava che avrebbe catturato e ucciso i terroristi ceceni «perfino nel cesso». Shoigu era il «buono», o così, almeno così gli spin doctor del Cremlino lo raffiguravano: da ministro delle Emergenze nazionali (quella che noi chiameremmo Protezione civile, ma che in Russia è militarizzata), cercò di creare un corridoio umanitario per la popolazione civile, prima che la capitale Grozny fosse rasa al suolo dall'aviazione. Entrambi appartenevano al partito al potere, che poi diventerà l'attuale «Russia Unita» di Putin. Fino al 2012 Shoigu rimase ministro delle Emergenze per approdare poi alla Difesa.
Una carriera atipica, la sua, fin dalla provenienza. È nato nella regione di Tuva, nel Sud della Siberia al confine con la Mongolia, da un padre di etnia tuvana e da una madre russa, che però viveva a Lugansk, nell'Ucraina contesa. A far decollare le sue ambizioni fu Eltsin, che nei primi anni 90 creò il ministero delle Emergenze praticamente per lui. Nelle settimane della crisi ucraina ha assunto toni da duro, definendo «non umani» i «nazionalisti» al governo a Kiev e poi, non più tardi della metà di febbraio, smentendo con faccia da pokerista di fronte al suo collega britannico di aver in corso alcuna preparazione per un attacco. A lui viene attribuita l'ammodernamento delle strutture dell'esercito con la riduzione del ruolo dei coscritti, la formazione di unità più mobili e con maggiore potenza d'attacco, nonché la conclusione secondo tempi previsti del programma di adeguamento delle circa 5mila testate nucleari che la Russia può schierare. È stato lui a potenziare il Gru, il servizio segreto militare che ha iniziato a occuparsi di operazioni un tempo di pertinenza esclusiva del Fsb (l'ex Kgb)
Qualche anno fa, quando ancora non si pensava a una
modifica della Costituzione per consegnare a Putin il potere a vita, si fece il suo nome per la successione. Ora il suo futuro (e ormai anche quello del suo principale) sembra appeso all'andamento della campagna in Ucraina.
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