In che stato versa la maggioranza di governo? Non buono, come dimostra la furibonda lite di lunedì notte in consiglio dei ministri con tema la scuola. Partito Democratico e Movimento 5 Stelle si sono "accapigliati" per tre ore di fila sulla ripresa delle lezioni in presenza e sulla scuola, un argomento che non sarebbe nemmeno dovuto essere all'ordine del giorno. Lunedì era 4 gennaio, la riunione è finita dopo lo scoccare del 5, per qualcosa che avrebbe dovuto avere effetti sulle attività del 7 gennaio di milioni di italiani. Come riporta La Repubblica, i toni della discussione sono stati infuocati e a tratti scomposti, sinonimo di forte nervosismo all'interno della maggioranza.
A scoperchiare il vaso di Pandora sarebbe stato Dario Franceschini, ministro dei Beni e le attività culturali e per il turismo, uomo del Partito Democratico: "C’è un problema politico. Il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti non pensa sia possibile riaprire il 7. Secondo il nostro segretario le scuole superiori devono restare al 100% di didattica a distanza fino al 15". Un'affermazione che avrebbe fatto letteralmente saltare su Lucia Azzolina, ministro dell'Istruzione: "Ma ci state prendendo in giro? Le scuole hanno organizzato turni scaglionati, abbiamo discusso con i dirigenti, mobilitato i prefetti, messo più soldi sul trasporto pubblico. Dieci giorni fa abbiamo sottoscritto un accordo con tutte le Regioni che stabiliva che si può aprire solo al 50%, e non al 75 come avevamo chiesto". Il ministro dell'istruzione pare fosse furente contro le parole di Dario Franceschini: "Dovevamo farlo già a dicembre, avevate detto no ormai il 7 gennaio, abbiamo accettato e adesso sorge un problema politico?". Davanti alle rimostranze di Lucia Azzolina, Dario Franceschini avrebbe sostenuto che nel caso in cui non fosse slittata l'apertura delle scuole, avrebbe dichiarato pubblicamente la contrarietà del Partito Democratico a questa decisione, aprendo di fatto un'altra spaccatura dell'esecutivo. La posizione di Lucia Azzolina è stata sostenuta in un primo momento da Elena Bonetti e da Teresa Bellanova, esponenti di Italia Viva.
Il ministro dell'Istruzione avrebbe continuato a difendere la sua decisione di riaprire le scuole il 7 gennaio perché "il contagio negli istituti è del 2%. Non c’è alcuna prova che il rischio sia maggiore che altrove". Una posizione sostenuta in un primo momento anche da Elena Bonetti e da Teresa Bellanova, esponenti di Italia Viva. A quel punto, però, Franceschini ha sbottato: "Tu non sei la scuola. Tu sei la ministra 'pro tempore' della scuola, che è fatta di tante realtà. Quello che succede nel mondo dell’istruzione, secondo l’ordinamento italiano, non sei solo tu a deciderlo". Lucia Azzolina, a quel punto avrebbe chimato nella discussione i bar e i ristoranti che (loro sì) riapriranno domani, 7 gennaio, chiedendo perché non possa accadere lo stesso per la scuola. "Chiudiamo anche loro", avrebbe prontamente replicato Franceschini. "Non scherziamo, sono categorie che hanno già sofferto molto", sarebbe stata la replica di Teresa Bellanova.
Nella discussione sarebbe intervenuto anche Roberto Speranza, ministro della Salute, che avrebbe esposto ai suoi colleghi un rapporto sulla potenziale incidenza della variante inglese. Alla luce di quei numeri e di quei dati, i ministri si sono detti "inquietati" dalle prospettive mostrate da Speranza. "Se mi chiedete di escludere che le riaperture faranno salire la curva, non posso farlo. Il rischio c’è, ma possiamo decidere di gestirlo", sarebbero state le parole di Speranza, quando Dario Franceschini avrebbe portato l'esempio degli istituti inglesi che sono stati chiusi da Johnson. Francesco Boccia, inizialmente favorevole alla riapertura il 7, durante il consiglio dei ministri avrebbe cercato una mediazione: "Se noi teniamo il punto sul 7, rischiamo che domani ogni Regione faccia la sua ordinanza. A questo punto è meglio aspettare i dati settimanali di venerdì che stabiliranno le nuove zone rosse e arancioni, prima di intervenire".
L.a richiesta di Boccia è stata etichettata come una scusa dai 5Stelle, che non pensano che i nuovi parametri di Rt possano in qualche modo incidere sulla scuola, soprattutto nel Lazio, dove al massimo si passerà in zona arancione. "Se prevedete un nuovo picco tra tre settimane, non è meglio mandare i ragazzi a scuola ora?", avrebbe chiesto Luigi Di Maio. Una questione che per il Pd nemmeno si pone, perché sarebbe inutile aprire per poi richiudere tra tre settimane. "Per quanto mi riguarda, se i ragazzi dovranno stare a casa ci resteranno, anche fino a marzo", sarebbe stato l'intervento di un esponente del Pd, di cui La Repubblica non fa il nome.
La riunione si è chiusa con il compromesso dell'11 gennaio, in attesa che venerdì venga reso noto il nuovo report dell'Iss sulla situazione epidemiologica. Ma Conte, in tutta questa discussione, cos'ha detto? Pare sia stato silente fino alla fine, per poi approvare la data individuata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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